“Un grido taciuto, un silenzio”. Un verso che già sentito ma che è assai pertinente per quel che riguarda l’operato artistico di Iacopo Pinelli (Gavardo,1993), giovane artista nato in Lombardia ma marchigiano d’adozione, in mostra fino al 12 giugno da Shazar Gallery, spazio espositivo del centro storico di Napoli.
Il parallelismo con il celebre verso di Cesare Pavese è facilmente riconducibile a quegli inevitabili controsensi e sofferenze del vivere moderno: un mondo che ci incoraggia a gridare e ad esprimerci con tutti i mezzi a nostra disposizione, con l’idea che tutto è possibile, perfetto e raggiungibile senza apparente sforzo. Ma spesso all’atto pratico del vivere, non tutti hanno modo di esprimere sé stessi appieno, nuotando in una direzione precisa e coerente del mare delle opportunità, ma al contrario, spesso ci si vede costretti a galleggiare nelle difficoltà del quotidiano, sigillate e ben celate dietro l’effimera abbondanza e al precario benessere. L’individualismo sfrenato della società liquida, inoltre, non offre grandi risposte in questo senso ma al contrario rende il singolo umano, e le rispettive comunità, più deboli e vulnerabili.
Nello specifico il lavoro di Pinelli si dimostra subito interessante per questa forte metafora che mette a nudo una società decadente e “pesante”. Ombrelloni, braccioli, tavole da Surf e altri oggetti da spiaggia conducono la mente del fruitore ad una spensieratezza dietro il quale però può nascondersi ansia, angoscia o anche inspiegabile pesantezza dell’essere.
La leggerezza delle idee, può dunque tramutarsi inevitabilmente in piombo, ferro, cemento: l’artista infatti ha giocato con le qualità della materia; esso si esprime trasformando nei suoi lavori il leggero in pesante, il morbido in coriaceo, l’incurvabile in flessibile. Non c’è provocazione o dispetto, quanto piuttosto una poetica trasparente e silenziosa, un racconto che svela le debolezze della società in maniera sincera e concreta.
Inoltre Pinelli riflette sulla relazione tra l’io e la sua percezione del tempo all’interno della società delle immagini. Un tempo oltreumano, che ci vede sempre iperconnessi, abituati a cambiamenti costanti e repentini.
La lentezza e la cura dei momenti spaventano la società, che appunto sotterra questi sentimenti sotto una marea di illusori edonismi, bellezze superficiali e pensieri talvolta tanto banali quanto facilmente sostituibili.
Per cogliere le bellezze della vita è quindi fondamentale affidarsi ad un certo tempo. E’ seguendo questo principio che Pinelli riscopre la tecnica fotografica del Rayogramma, in cui è la stessa materia a imprimere la propria immagine su di un supporto sensibile, con l’aiuto della luce. Nascono così le sue “pitture di sole”, ognuna intitolata con il numero di ore precise, le stesse impiegate per la loro “nascita”. Un tempo finalmente apprezzato, celebrato al punto da dover essere protetto attraverso l’utilizzo estetico di robuste armature di ferro.
Qui i rapporti tra i due materiali, ferro e gommapiuma, diventano proiezione metaforica di quei preziosi scrigni dove l’immagine, il pensiero, l’idea diviene oggetto tangibile e protetto, concreto e sostenuto. Un corrispondenza ottimale tra interno ed esterno, l’ennesimo grido taciuto.
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