La certezza è che David Reimondo concentra il suo lavoro sull’essere umano. Quell’essere umano la cui capacità di trasformare in immagini il mondo che percepisce – e di incorporarlo, ovviamente – costituisca un dato proprio della condizione umana sia sul piano filogenico che ontogenico. Data questa premessa, quando le porte della Galleria Mazzoleni si aprono, Reimondo pone, generosamente a disposizione, tutti gli strumenti necessari per apprendere la sua nuova e personale teoria del colore e per metterla in pratica lungo il percorso espositivo di Cromofonetica.
La teoria è questa: in nessuna lingua i colori secondari e terziari vengono denominati con un termine che porti con sé i colori primari di cui sono formati. «Se noi prendiamo i tubetti di tempera blu e giallo e li mischiamo otteniamo il colore verde – spiega Reimondo – ma dialetticamente e foneticamente nulla di tutto questo accade, perché verde è una parola a sé che in italiano, come in tutte le altre lingue, non conserva nulla delle parole blu e giallo».
È una frustrazione, si. Ma Reimondo, che è sapiente, anche giocoso, e rigoroso, trova il modo di superare la lacuna linguistica con una nuova grammatica fonetica che, grazie all’uso di sillabe connesse al colore, esprime la loro interazione. Ecco dunque che «se ID è il giallo, LA è il rosso, ÈN è il blu, allora IDEN è il verde», spiega l’artista che nell’opera La Cromofonetica ha nominato ben 105 tonalità di colori, compresi il bianco e il nero – che sono la somma dei tre colori primari e che, a teoria imparata, riconosciamo come LAIDEN e NEDIAL.
Le prime applicazioni, intuitive e primordiali, di questa grammatica fonetica Reimondo le testa per provare a descrivere – «anche un po’ utopicamente, solo per mezzo del suono», afferma lui – le superfici di un cerchio blu su sfondo arancione (CMF-CER_ÈN), di un triangolo rosso su sfondo verde (CMF-TRI_LA) e di un quadrato giallo su sfondo viola (CMF-COMP-QUA_ID). C’è di più, ed è, su tutte tre le superfici, la griglia, che è espressione della connessione morfologica costituita dalla ripetizione e intersezione di rette parallele e perpendicolari tra loro. In questo caso la griglia è contemporaneamente figura visiva espressa e regola di costruzione sintattica che metaforizza il piano tout court, con un strutturalismo figurativo radicale.
La ritmica della griglia però non è più solo visiva perché Reimondo, servendosi di un MP3 player disposto sul retro di ogni opera, la rende udibile. Quel che prende corpo, ancora di più nell’opera Onda Cromofonica, è il ruolo fondamentale del suono che, come un eseguire performativo, attraversa e sfida ogni utopia. Reimondo sembra affidarsi, completamente e con cognizione, al tratto essenziale di questo eseguire performativo, ovvero alla capacità di condurre l’azione nel margine più o meno stretto, ma densamente ricco di possibilità, che si apre tra il preordinato, ovvero la partitura, e il contingente, ovvero l’occasione concreta della sua esecuzione. Per occasione, riprendendo l’insegnamento di Hans George Gadamer, si intende che «il significato di qualcosa è determinato nel suo contenuto dall’occasione a cui deve servire, in modo che in tale contenuto c’è di più di quanto vi sarebbe indipendentemente da tale occasione (…) Rimane decisivo il fatto che l’occasionalità così definita è contenuta nella stessa intenzione dell’opera e non le è solo imposta dall’interprete. (…) È l’opera stessa che, nell’evento dell’esecuzione, accade. La sua essenza stessa è di essere occasionale in modo che solo l’occasione dell’esecuzione la fa parlare e fa venire in luce ciò che in essa è contenuto».
Far parlare è, esattamente, quello che David Reimondo fa negli spazi della galleria partendo, una volta raggiunto il piano superiore, dal silenzio – quello di John Cage, quello di 4′33″, che è esposto – che ha registrato nel suo studio e che poi ha trascritto, in codice binario, a mano, a matita, su una parete, con il risultato che un linguaggio informatico, glaciale e infallibile per sua natura, si lascia contagiare dalla soggettività e dall’imperfezione umana, che a lui, a David «piacciono e interessano moltissimo».
L’immersione dei sensi è, a questo punto, già totale, ma c’è ancora di che stupirsi, a cominciare dallo scheletro di un Aepyornis – un genere estinto di giganteschi uccelli vissuti in Madagascar di cui udiamo la descrizione del piumaggio – che trasforma il silenzio in respiro e il respiro in suono, quel suono che raggiunge la sua massima espressione attraverso una serie di libri – in teca, con delle casse audio interne – dedicati ad alcuni dei protagonisti della storia dell’arte più o meno recente. C’è Giotto, letto da Frate Luca; c’è Tracey Emin, letta dal rapper Drimer, c’è Gina Pane – con l’iconica fotografia di una sua iconica performance, Cocaina – letta da una cantante blues, e ci sono Marina Abramovic, Artemisia Gentileschi, Yayoi Kusama, Georges Seurat. L’eseguire performativo questa volta chiama in causa anche noi, che siamo invitati ad aprire una teca dopo l’altra per ascoltare le diverse letture – ora sembra un canto gregoriano, ora una dolce litania, ora un attualissimo rap che i diversi interpreti hanno dato alla descrizione cromatica della superficie, servendosi della Cromofonetica di David Reimondo.
L’esperienza è sonora, è visiva ed è intellettiva. E ci appartiene, in quanto esseri umani la cui immaginazione non è che un’energia che ci unisce al mondo e viceversa, costituendo un ponte fra esterno e interno in modo chiasmico, Il percorso conserva un momento in cui la fonetica incontra la grafica (CROMOGRAFIA) prima di arrivare, sul finale, a un’anticipazione sul futuro della sua ricerca che porta il titolo di Interazioni. La certezza è che David Reimondo continuerà a concentrare il suo lavoro sull’essere umano: 4 schermi, disposti a coppia di due, l’uno sul fronte l’altro sul retro, si fronteggiano mostrando due attori – un uomo e una donna – mentre recitano, senza audio, improvvisando scene di interazione quotidiana. La vista frontale ci permette di cogliere solo parte di questa interazione perché in ciascuna coppia, specularmente, uno dei due monitor è coperto e ribaltato. Così facendo, evocando Jacques Lacan, secondo cui quando noi dialoghiamo con un’altra persona evochiamo un messaggio e lavoriamo sulla memoria lasciando intervenire, oltre il dato reale, anche la coscienza, l’adesione affettiva e la messa a fuoco morale, Reimondo lascia che lo spettatore costruisca la propria storia.
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