“Viviamo nell’oblio delle nostre metamorfosi” scrisse Paul Éluard nel suo Capitale de la douleur. Anche se spesso preferiamo ignorarlo, sono le nostre scelte a trasformare il nostro destino nel bene o nel male, soprattutto quando coinvolgono la Natura, di cui ci dimentichiamo di far parte. Così, ogni volta che le manchiamo di rispetto, la deturpiamo, la distruggiamo, non facciamo altro che nuocere a noi stessi. Vittime e carnefici al tempo stesso, corresponsabili ed irresponsabili, perché figurati-se-è-tutta-colpa-del-climate-change. Invece, urge una presa di coscienza, perché peraltro la soluzione ai problemi ambientali non può venire che da noi. In tal senso, allora, ben venga un’iniziativa come WE ARE THE FLOOD – Interazioni su ambiente e trasformazioni, mostra personale di Stefano Cagol, a cura di Francesca Guerisoli, realizzata grazie al sostegno della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura nell’ambito di Italian Council (12a edizione, 2023), esposta al MAC Museo d’Arte Contemporanea di Lissone fino al 7 gennaio 2024.
La mostra si articola su tre piani del museo. Ne è fulcro una nuova installazione dell’artista, WE ARE THE FLOOD: il concetto “noi siamo” (“we are”) è infatti il principio fondante del progetto, un atto corale di consapevolezza che cause ed effetti non sono a noi estranei. «Noi siamo il riscaldamento globale, noi siamo la pandemia, noi siamo il diluvio. Siamo abituati a dare sempre colpa a qualcun altro: gli industriali, i politici, altre nazioni. Invece il diluvio rappresenta il nostro essere, ora 8 miliardi, fantastici ma sconvolgenti, in corsa verso l’abisso». afferma Stefano Cagol. Parole pregnanti, vibranti. L’installazione è realizzata con materie plastiche di scarto derivate dal petrolio, riciclate e riciclabili, multicolori e atossiche. Una sorta di “monumento” contemporaneo emblematico della nostra società, a cui probabilmente sopravvivrà, poiché impiegherà mille anni per degradarsi. Nei prossimi mesi sarà completata da performance e video realizzati dall’artista in diversi luoghi simbolici dal punto di vista naturale e antropocentrico: dalle foreste pluviali tropicali al deserto, fino alle lande artiche, attraverso Egitto, Malesia, Groenlandia e Kirghizistan, grazie alla collaborazione di quattro partner internazionali. La mostra al MAC, infatti, è il primo evento di un progetto multi-sito che vedrà Stefano Cagol spostarsi al Cairo e nell’Asia sud occidentale tra novembre e dicembre 2023, e successivamente nell’Artico e in Asia centrale. Un ulteriore momento espositivo è previsto nel 2024 al MUSE – Museo delle Scienze di Trento. Infine al MAC avverrà la restituzione finale dell’intera esperienza e la presentazione del libro ad essa dedicato.
Nel percorso espositivo, l’installazione è contestualizzata da altri dieci lavori dell’artista altrettanto evocativi, che evidenziano la coerenza della ricerca da lui intrapresa – a partire dagli anni Novanta – intorno al rapporto tra essere umano e ambiente, con profondi riferimenti filosofici e scientifici. Ad esempio, in Flu Game (2008), del materiale plastico di scarto compone un paesaggio scultoreo dalle forme organiche, ideato per la mostra Eurasia a cura di Achille Bonito Oliva al Mart di Rovereto. In Not to lose the stars (2023), invece, la bellezza delle stelle è messa a confronto con l’inquinamento luminoso, impalpabile ma diffuso. Per contro, il fuoco simboleggia l’atteggiamento aggressivo dell’essere umano nei confronti di quanto lo circonda, attraverso la neve in fiamme di Over Two Thousand (2007) o in Antagonismus. The Time of the Flood (2020), opera video basata su un ossimoro visivo, tanto potente quanto suggestivo: una fiamma chimica tossica generata dall’artista entra in conflitto con la superficie dell’acqua. Prima che il diluvio, da noi stessi causato, vanifichi ogni tentativo di porvi rimedio e ci travolga.
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