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Negli spazi di Gaggenau DesignElementi a Roma è visitabile la mostra personale di Giulia Manfredi “Il giardino dei fuggitivi” a cura di Sabino Maria Frassà, ispirata «all’orto in cui tredici fuggiaschi cercarono di scappare dall’eruzione che distrusse Pompei è per l’artista un’immagine emblematica e la metafora stessa dell’esistenza umana: non esiste fine e non esiste principio, tutto – come in un giardino – si trasforma».
Questa mostra, hanno spiegato gli organizzatori, è quella «“della maturità” di Giulia Manfredi, in cui l’artista emiliana sintetizza la propria visione della realtà, trasformando lo spazio Gaggenau DesignElementi di Roma in un giardino in cui regnano l’ordine, il candore e una profonda quiete: tra marmo, farfalle e bonsai lo spettatore è portato a contemplare e scoprire l’Infinito di cui siamo fatti».
«Giulia Manfredi con la sua visione circolare dell’esistenza ci aiuta a capire che tutti noi «siamo infinito» – ha spiegato il curatore – «le sue opere presentano una bellezza ipnotica che si scontra con la materia di cui sono fatte: non solo marmo, ma anche funghi e resti inanimati di bonsai e farfalle. Il suo lavoro risulta dominato dalla complementarietà tra caos e ordine, tra la vita e morte: l’arte diventa la via di fuga dal vulcano interiore verso l’infinito, il tentativo per descrivere e rappresentare in tutta la sua complessità l’avventura dell’esistenza umana. Il gesto artistico si carica così di una forza quasi catartica: da un’emozione viscerale, la mente umana riesce infine a produrre nuova e ordinata bellezza, in grado di sublimare i dubbi e le paure più profonde. L’arte di Giulia Manfredi è in ultima istanza un inno all’infinità di cui la vita è parte imprescindibile. Senza vita non può esistere l’infinito e quella tensione ad esso. Le opere d’arte di Giulia Manfredi, così sintetiche a livello visivo e pregne di significato, ci aiutano a scorgere tale immensità di cui siamo e saremo per sempre parte, anche nel giardino dei fuggitivi in cui “s’annega il pensier mio. E il naufragar m’è dolce in questo mare”».
Il modo per superare una visione dicotomica dell’esistenza prende forma nelle opere inedite che compongono la mostra: l’opera “viva” White Matter è accostata al ciclo Psyche composto da quadri in cui frammenti di ali di farfalla sono inglobati come una tarsia nel marmo a creare forme che richiamano le macchie di Rorschach. In White Matter l’artista unisce materiali sintetici, stampati in 3D, con specchi e marmo lavorato al laser. I frammenti di farfalla lasciano il posto a funghi edibili che crescono e fanno parte della scultura. Questa caleidoscopica opera d’arte è quindi viva, cresce e si trasforma nel tempo, raccontando la “materia bianca”, ovvero quella chilometrica e fitta rete di impulsi elettrici nel cervello che ci permette di trasformare i singoli impulsi in un pensiero unico. Come i miceli dei funghi, così anche noi siamo tutti collegati internamente ed esternamente e ci “nutriamo” e completiamo vicendevolmente attraverso e con ciò che ci circonda.
Al centro del Giardino dei fuggitivi l’artista colloca una grande scultura bianca: un albero sospeso nell’aria e avvolto dalla nebbia. Il titolo dell’opera, Sacrarium, spiega il senso più profondo della ricerca artistica di Giulia Manfredi: non si tratta di una visione nichilista, ma della “sacra” accettazione che sia impossibile abbracciare e appropriarsi pienamente dell’immensità del cosmo che pur non possiamo che percepire».
Ne abbiamo parlato con Sabino Maria Frassà, curatore del progetto.
Nel comunicato stampa si legge che “Il giardino dei fuggitivi” è la mostra della maturità di Giulia Manfredi. In quali aspetti del suo lavoro si può rintracciare questa maturità?
«Giulia Manfredi vinse nel 2017 il Premio Cramum con opere in resina. Per Giulia Manfredi l’arte è veramente una forma di catarsi. Perciò il suo lavoro si è sviluppato negli anni attraverso diversi materiali e tecniche, impiegate in modo strumentale per cercare di razionalizzare ansie e timori. Con il tempo questo eclettico e a tratti compulsivo sviluppo tecnico-artistico si è fatto sempre più compiuto e risolutivo: le opere nel tempo si son fatte tanto immediatamente efficaci, quanto complesse a livello di progettazione, concettualizzazione e realizzazione. Nella complessità tecnica sintetizzata in forme finali efficaci Giulia Manfredi ha trovato la propria dimensione. Questa mostra nasce perciò per raccontare la visione dell’esistenza dell’artista, piuttosto che presentare un singolo ciclo di opere. È stata l’artista a voler fortemente il titolo “Il giardino dei fuggitivi” considerato come sintesi della sua visione ciclica e non lineare della vita. Ho abbracciato il progetto portando nello spazio Gaggenau di Roma il mondo-giardino dell’artista con opere che vanno dal 2017 a oggi: abbiamo svuotato lo spazio, abbassato le luci, al fine di rendere possibile e reale a tutti gli spettatori il rifugiarsi in questo “ultimo” eden a tratti distopico. Il risultato è infatti uno spazio suggestivo e concettuale al tempo stesso; non una semplice esposizione, quanto una grande installazione organica con un continuo rimando tra le opere: dal fumo di Sacrarium (2017) al vapore dell’opera inedita White Matter, dai giardini all’italiana dei quadri scultura in marmo agli alberi con cristalli appesi alle pareti, dalle farfalle intarsiate nel marmo a alle “macchie” protagoniste delle opere di video art. In questa visione completa e matura dell’esistenza l’angoscia trova una soluzione nella vista di un ritorno e della ciclicità. Questo elemento mancava nelle opere precedenti, caratterizzate da un certo nichilismo, ora assente».
Qual è il rapporto dell’artista con i materiali e le tecniche che utilizza e come si è evoluto nel tempo?
«La visione circolare porta l’artista a sintetizzare nelle sue opere anche tecniche e materiali del passato e della contemporaneità. Giulia Manfredi anche in questo approccio alla tecnica dimostra tutta la sua maturità: se da un lato rimane sempre vivo il dubbio riguardo al futuro dell’opera d’arte “ai tempi della sua riproducibilità tecnica”, l’artista dimostra un grande equilibrio nel far coesistere l’imprescindibile gesto artistico con le possibilità offerte dalle nuove tecnologie e dal coinvolgimento di professionisti di altre discipline: la contemporaneità è sintesi tra passato, presente e futuro. L’artista è così molto attenta a realizzare le proprie opere da sola: ad esempio nel gesto artistico delle farfalle il pensiero quasi si annienta quasi fosse un mandala di sabbia colorata: basta un soffio per distruggere l’opera. Allo stesso tempo il marmo è tagliato con una punta di diamante utilizzando le tecniche più moderne, anche per rendere l’opera il più leggera possibile. Allo stesso modo l’artista si avvale di consulenti biologi e botanici per la realizzazione delle complesse opere viventi che da sempre caratterizzano le mostre più importanti. Infine in questa mostra per la prima volta l’artista ha impiegato la stampa 3D e l’ha integrata in un modo originale e innovativo con il marmo».
Come si colloca questa mostra nella collaborazione tra Cramum e Gaggenau DesignElementi di Roma?