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Al Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro si completa una trilogia pensata e realizzata per rendere note al pubblico alcune delle diverse declinazioni e sfaccettature della pittura contemporanea:dopo le due personali di Thomas Braida e Matteo Fato, è la volta di Gianni Politi con BENVENUTO (ANIMA DEL PITTORE DA GIOVANE). L’artista romano, classe 1986, ha rivelato nei due ambienti del Loggiato e della chiesa del Suffragio gran parte del suo percorso artistico attraverso tre diverse tipologie di opere. Una varietà questa che sin da subito si fa notare, si palesa al visitatore che facilmente riesce a scovare il serio gioco dell’arte in spazi ampi, contenitori di visioni, memorie, immagini, tecniche e materiali diversi.
La ricerca sulla pittura
La continua ricerca di Politi sul senso del dipingere al giorno d’oggi lo conduce ad un persistente e vivo scavare in profondità per portare alla luce ossessioni personali riversate fuori dal sé grazie al colore e alla materia. Le strade della figurazione e dell’astrazione vengono percorse parallelamente, entrambe facenti parte della medesima esplorazione, per rendere manifesti e visibili pensieri presenti all’interno di una mente che è piena di scorpioni, prendendo in prestito le deliranti parole di Macbeth. Un bassorilievo in bronzo in cui sono raffigurati per l’appunto molti scorpioni, opera dal titolo Questa è la mia mente, accompagna, posizionato all’altezza del battiscopa, la serie che rappresenta la vera mania dell’artista che dal 2012 ricerca il volto del padre riproducendo un quadro di Gaetano Gandolfi, Studio per un uomo con la barba (1770). Le dodici tele presenti, minima parte di questo tormentato lavoro, vedono apparire e dissolversi la figura di questo volto che a tratti diviene macchia di colore o linea, come se la retta della realtà non riuscisse più a tenerlo sotto controllo, come per rifuggire allo sguardo e alla mano che non possono più esercitare il loro potere. Bussola e baricentro del lavoro, così lo definisce lo stesso Politi, questo esercizio rappresenta probabilmente un passaggio indispensabile per la definizione del resto della produzione, punto di riferimento per la ricerca di quei punti cardinali che lo aiutano a muoversi nell’ampio paesaggio della pittura. Non c’è arrivo, non esiste idea né realizzazione definitiva poiché non è questo l’interesse.
Gianni Politi e Gaetano Gandolfi, il dialogo
La successione, lineare nell’allestimento lungo la parete del Loggiato, diventa circolare nello spazio della chiesa in cui sono presenti cinque grandi opere realizzate con collage di tele e spray acrilici, astratte. L’altro lato della medaglia quindi, una pittura casuale che attornia un enorme monolite che da un lato riporta l’intervento dell’artista con gli stessi spray utilizzati per i dipinti. Esso tiene il punto e determina una posizione ancestrale che rimanda a luoghi e tempi passati che ciclicamente ritornano. In quelle macchie nere, attorniate dai ritagli irregolari delle tele, è possibile scorgere i contorni del viso dell’uomo con la barba di Gandolfi che sembra tornare per volerci ricordare ancora una volta che libertà e non divisione sono elementi fondamentali di un percorso creativo che non trova il suo senso nella separazione netta tra astrazione e figurazione, ormai sorpassata da tempi immemori. La via condotta da Gianni Politi segue un istinto che tenta di costruire realtà e memorie e di distruggerle nello stesso momento, per entrare sempre in contatto con il profondo pur cercando una posizione ferma come quella rappresentata metaforicamente dal grosso blocco di pietra posto al centro della sala.