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Deserti aridi e foreste pluviali, dalle vette delle Ande fino alle coste, tra Argentina, Bolivia, Cile, Colombia, Ecuador e Perù: 30mila chilometri di paesaggi, suggestioni e culture, raccontati in “Qhapaq Ñan”, mostra in esposizione fino al 22 agosto al MUCIV – Museo delle Civiltà di Roma, curata da Rosa Jijón, ex Segretario Culturale IILA – Istituto Italo Latino Americano, ente che ha promosso la mostra, in collaborazione con Nuria Sanz, coordinatrice del Progetto di Candidatura del Qhapaq Ñan del Centro del Patrimonio Mondiale, UNESCO – Parigi, José de Nordenflycht, storico e critico d’arte, e Donatella Saviola, americanista del Museo delle Civiltà – Museo Preistorico ed etnografico Luigi Pigorini.
La storia del Cammino degli Incas
Conosciuto come il “Cammino degli Incas”, il Qhapaq Ñan era il sistema stradale più esteso e avanzato per gli standard dell’epoca, unendo le varie regioni dell’impero inca per circa 3 milioni di chilometri quadrati di territorio, da Quito, capitale delle province settentrionali, all’attuale Santiago del Cile, a sud. Per percorrere le strade era necessario un permesso, alcuni ponti prevedevano il pagamento di un pedaggio e ancora oggi è fondamentale la sua funzione di connettore tra le comunità, proprio come le grandi vie consolari dell’Impero Romano. Inserito nell’elenco dei beni Patrimonio Mondiale dell’UNESCO nel 2014, il Qhapaq Ñan è stato oggetto di studio nei più svariati ambiti, sia archeologico che ingegneristico, storico e antropologico.
«La cooperazione fra i popoli è un’eredità del Qhapaq Ñan, la comunicazione e l’interscambio e la collaborazione che favorì questo sistema di cammini deve essere un esempio per il mondo che ci aspetta. Affrontiamo l’incertezza, la paura e le restrizioni, questo pianeta fragile ha bisogno della nostra attenzione e di una permanente coesione per non distruggerlo e per non distruggerci», ha sottolineato Jijón.
Qhapaq Ñan, tra archeologia e arte contemporanea
La mostra è l’occasione per scoprire una selezione di reperti archeologici del MUCIV – Museo delle Civiltà, la collezione preistorico-etnografica Luigi Pigorini, con oggetti provenienti dai luoghi di origine del Qhapaq Ñan di diverse epoche precolombiane, selezionati da Donatella Saviola: oggetti rituali posti a corredo delle sepolture andine, che risultano essere la testimonianza dei costanti scambi intercorsi tra le numerose civiltà, da quelle pre-incaiche agli Inca. «È importante ricordare questo splendido modello di integrazione, valorizzarlo e riproporlo in chiave moderna, ad esempio realizzando le infrastrutture viarie necessarie a collegare agevolmente i Paesi della Regione. Lo hanno fatto gli Incas, possiamo e dobbiamo farlo anche oggi, in un momento in cui l’aggregazione è fondamentale per affrontare le sfide globali», ha dichiarato Antonella Cavallari, segretario generale dell’IILA La mostra.
Gracia Cutuli (Argentina), Joaquín Sánchez (Bolivia), Cecilia Vicuña (Cile), Gabriel Vanegas (Colombia), Estefanía Peñafiel Loaiza (Ecuador), Mariano León (Perù), sono i sei artisti visivi invitati da José de Nordenflycht, curatore della sezione contemporanea, a reinterpretare i tratti di questo itinerario. «Se l’azione fisica del camminare implica una trasformazione del luogo e dei suoi significati, la sua deriva immaginaria è configurata dal visitatore, affinché il fatto stesso di aver visitato la mostra lo inviti per un attimo a sentirsi compagno di viaggio di numerosi uomini e donne delle Ande», ha spiegato de Nordenflycht. «Non c’è dubbio che questa mostra non sia una semplice operazione di immagazzinamento di informazioni e di contenuti su un lontano cammino nelle Ande. I sei artisti hanno lavorato sul concetto di “impronta”. Le loro opere nascono dall’esigenza di lasciare una traccia, come la rovina è un’impronta terminale, per non rimuovere o dimenticare ma sfruttare questi luoghi per ricordare sempre che le rovine non sono semplici macerie».
A offrire un ulteriore spaccato del Qhapaq Ñan, il lavoro di Claudio Pérez, fotografo documentarista cileno che presenta “Qhapaq Ñan ATACAMA” un lavoro antropologico e geografico che trova la sua origine nell’osservazione della resistenza culturale di questi territori e che mostra in modo multidisciplinare parte del percorso attuale del Cammino Inca.