Amore, vita e morte sono tematiche fondamentali dell’esistenza umana. L’amore che attanaglia la mente e il corpo dell’essere umano. La vita che scorre inesorabile sotto un occhio spesso poco attento delle persone. La morte che rappresenta per alcuni una fine e per altri un inizio. L’artista Camilla Marinoni ha provato a dare la sua personale visione su questi concetti con la mostra “La vertigine della forma”, ospitata al MOCA, Centro per le nuove culture di Brescia, nell’Appartamento Nobile, visitabile dal 30 maggio all’11 giugno e curata dalle studentesse del laboratorio L’evento d’arte dell’Università Cattolica Del Sacro Cuore – DAMS di Brescia — Benedetta Russo, Chiara Adelaide Mattiuzzo, Chiara Mora, Monica Bignotti, Nicole Rizzi, Rebecca Boroni, Sabrina Galli, Sara Colombini e Sofia Mazzola — coordinate da Daniele Perra.
All’interno delle sale della mostra, la tensione emotiva è palpabile. La prima opera con cui si viene in contatto è Se tornassi indietro non vorrei nemmeno nascere, installazione composta da risme di fogli strappate e intinte nel vino. Fra il 2020 e il 2021 l’artista ha avuto la possibilità di ascoltare le storie di persone che hanno avuto una perdita a causa del Covid-19. Il lavoro nasce dall’ascolto di quest’esperienza traumatica che può essere paragonata a quella di uno strappo, dove ognuno si è aggrappato ai ricordi che aveva della persona amata. Ricordi rappresentati metaforicamente nell’opera attraverso il vino. Quest’ultimo, essendo un elemento fotosensibile, cambia col passare del tempo, mutando da un iniziale porpora acceso sino ad un rosso sbiadito. Proprio come il vino, il ricordo e il dolore della persona scomparsa si affievolisce col tempo, ma non scompare mai, rimane come un macchia perenne sul nostro foglio di carta chiamato vita.
Il ricordo, il curare le nostre ferite sono le tematiche che esprime l’opera Alle ore 3 in cui tre matasse di filo spinato sono appoggiate a terra e uno dei capi della matassa è coperto da un centrino. Il lavoro fa riferimento all’Armistizio di Villa Giusti tra Italia e Impero Austro-ungarico, rappresentando il momento di fine della guerra. Quando una guerra finisce, arriva il momento di capire ciò che è rimasto e di seppellire coloro che non ci sono più.
Nell’opera All’ombra dei Cipressi, rifacendosi alle offerte funerarie romane, riesce a esprimere questo dualismo attraverso un rapporto dialettico tra la fissità dei fiori in ceramica, capaci di durare in eternità , e la precarietà del vino versato nei calici, destinato ad evaporare, rimandando all’inesorabile trascorrere del tempo.
Riflettendo sul peccato originale nasce l’opera Il desiderio originale, un albero/colonna avvolto da fili rossi. Lo spettatore risulta parte attiva di quest’opera poiché è chiamato ad interagire con essa, a cogliere uno dei fili, annodarlo all’albero ed esprimere un desiderio. L’intento è quello di tornare alle proprie radici, da cui hanno origine i sogni e i progetti di vita: il nostro desiderio originale.
Dopo i ragionamenti sull’essere umano e sulle sue emozioni, Camilla Marinoni decide di esporre Intus, un’opera che parla del rapporto del corpo dell’uomo con ciò che lo circonda. Lavoro di straordinaria delicatezza,ad alto impatto visivo, è costituito da ibridi, forme a sé stanti che nascono da quella che vuole essere la rappresentazione del nostro intestino, organo considerato il nostro secondo cervello poiché deputato a provare emozioni.
Artista di rara sensibilità , Camilla Marinoni è riuscita a trasmettere emozioni forti, rendendo lo stesso spettatore non solo artefice delle opere, come nel caso di Desiderio originale, ma partecipe del dolore, dell’angoscia, dell’amore, della precarietà che lei stessa ha provato nel crearle. Le emozioni sono la parte più bella e inconscia della nostra natura, l’arte capace di suscitarle merita di essere vista e condivisa. Quella di Camilla Marinoni fa parte di essa.
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