Vincitrice della decima edizione del Premio Glass in Venice, Marcela Cernadas fa del vetro – bellissimo da vedere ma delicato nel fiato – un uso consueto. In occasione, proprio della più recente The Venice Glass Week, il Centro Studi del Vetro della Fondazione Giorgio Cini ospita fino al 21 dicembre la mostra Manifesto di sabbia: un’inedita lastra in vetro di Murano composta da canne color bianco opalino, numerosi lavori su carta cotone, una maquette, un video e un’installazione site specific, è questo il corpus di opere che Cernadas ha realizzato ispirandosi a El libro de arena di Jorge Luis Borges.
Nel febbraio del 1969, a Cambridge, su una panchina davanti al fiume Charles, Borges incontra un uomo che ha la sua stessa voce e gli è più intimo di un figlio nato dalla sua carne. L’uomo è Borges ventenne, a Ginevra, seduto su una panchina davanti al fiume Rodano. Un racconto fantastico. O forse un sogno. Più del tema, sempre caro, del doppio, è il concetto di effimero su cui vorrei un momento soffermarmi. Quando consideriamo l’effimero non possiamo prescindere dalla sua relazione co-determinante con l’archivio, che si rivela strumento gnoseologico per capire cosa Marcela Cernadas mette in gioco nel modo di costruire, materialmente, la sua opera.
Riconoscendo che l’effimerità di un lavoro non è in antitesi con la sua possibilità di archiviazione ma, al contrario, essa è garantita dalla documentazione che ne sopravvive, il fuoco dell’indagine si sposta sulle componenti in cui l’effimero risiede. Ecco dunque la serie di Disegni Bianchi: simula le forme di labirinti ideali e perde le proprie tracce sulla carta mettendo in evidenza la semantica dell’archivio stesso, inteso come luogo di conservazione, di ricerca e salvaguardia di preziosi materiali di studio. Numerati di duemila in duemila, secondo l’esponenziale chiave d’infinito dichiarata da Borges nel suo racconto, le Pagine Dispari raffigurano labirinti prospettando pagine di una biblioteca in cristallo n bilico tra la composizione e la smaterializzazione, mentre le Pagine Pari dispiegano geometrie che potrebbero cristallizzarsi in vetrate immaginarie oppure frantumate disperdersi nella loro materia incipitaria.
Ci sono anche Pagine Senza Numero, appartenenti alla serie di Serigrafie Bianche, che insinuano il passaggio – che non ammette una misura comune pertanto è infinito, incommesurabile, innumerevole – dall’impermanenza della sabbia alla fragilità del vetro ora opalino, ora latteo. È qui, in un immaginifico contesto di suggestione borgesiana, che mi raffiguro Marcela Cernadas incontrare se stessa di qualche anno fa, quando in procinto di dare forma a una serie di opere intitolata In Silence spiegava l’uso del vetro in questi termini: «(il vetro) sottolinea la trasparenza di un materia che non pretende concorrere con lo spettacolo della vita che circonda gli oggetti d’arte ma vuole deliberatamente fondersi in essa».
Al cuore del percorso espositivo ecco il Manifesto di sabbia, cesellato con la tecnica della sabbiatura su una Pagina di vetro, metafora del fondale marino realizzata in vetro di Murano di colore bianco opalino. La tecnica che Cernadas ha scelto traduce l’azione poetica di scrivere con sabbia sulla sabbia proposta in un passaggio del manifesto, che recita:
«l’arte come la sabbia non ha principio né fine | l’arte come la sabbia è incommensurabile | l’arte come la sabbia è sedimentaria | l’arte come la sabbia è derivata dalla disgregazione di cose preesistenti |l’arte come la sabbia è composta da minuti frammenti incoerenti ma di notevole durezza | compito dell’artista è esplorare le sabbie che abbondano sulla superficie terrestre | compito dell’artista è non perdersi nelle sabbie del deserto | compito dell’artista è non annegare nei fondali marini | compito dell’artista è scrivere sulla sabbia delle spiagge | compito dell’artista è fondersi nella sabbia | per dare forma all’informe | per dare fiato al magma cristallino che è principio e fine insieme | per poi ricominciare da capo». (Una copia serigrafata è contenuta e custodita in una scatola di cartone rivestita in lino intitolata Scatola per Manifesto di sabbia).
Ecco dunque, la sabbia. Quella sabbia intesa come componente chimica utilizzata per la realizzazione del vetro, dunque presente nei pigmenti originali della vetreria M.V.M. Cappellin, ma anche ila sabbia come l simbolo biblico della creazione, ovvero l’argilla da cui è forgiata l’umanità ed è poi elemento impalpabile e volatile con funzione allegorica rispetto alla nostra memoria che disperde e cancella. La sabbia, infine, come resto tangibile dunque finito, di ciò che è per natura effimero e impermanente oltre la durata di uno spazio-tempo limitato e prestabilito. Nell’opera di Marcela la sabbia esiste rivelando la propria intrinseca performatività, che è e non può non essere legata alla sua possibilità di ripetizione e riproduzione, ed è resa evidente attraverso quella serie di rievocazioni e di documentazioni che, in termini radicali, possono attribuire anche soltanto a un’immagine il carattere performativo.
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