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I corpi non conformi di Eva Koťátková alla Galleria Nazionale di Praga
Mostre
La mostra di Eva Koťátková è allestita fino al 4 giugno 2023 all’interno del Trade Fair Palace di Praga (Veletržní Palác), un edificio in stile funzionalista che ha attraversato diverse fasi nella sua storia: da luogo di esposizione fieristica a centro di smistamento durante l’occupazione nazista, fino a diventare oggi sede della Galleria Nazionale della città. La Great Hall è una sala molto ampia in cemento a vista spesso destinata ad un singolo artista che può impiegare lo spazio a sua discrezione. Quest’anno è stata occupata dall’opera di Eva Koťátková, una delle artiste ceche più riconosciute a livello internazionale, che vanta opere conservate nelle collezioni del MET e del MoMA di New York. I curatori sono Sandra Patron, direttrice del Museo di Arte Contemporanea CAPC di Bordeaux (luogo dove era stata precedentemente allestita la stessa mostra) e Rado Ištok, curatore della collezione di Arte Moderna e Contemporanea di Praga.
Nella Great Hall, occupata da “Il mio corpo non è un’isola”, sembra che qualcosa sia appena successo, come se una classe di bambini si fosse appena disfatta dei costumi di carnevale o di pupazzi enormi. Lo spazio espositivo è disseminato di postazioni, in tutto 21, che insieme compongono la sagoma di un corpo in parte umano e in parte pesce. Ogni postazione racconta una storia raccolta o inventata dalla stessa artista e poi trasformata in materiale audio riprodotto in sala. Oltre al paesaggio sonoro se ne aggiunge uno visivo molto colorato e bizzarro: pantaloni caudati, casse di legno con braccia, tentacoli, pinne… Decine di costumi di stoffa sono adagiati in casse da spedizione, quasi sempre accompagnati da scarpe da ginnastica. Il motivo della cassa da spedizione ricorre spesso: è il simbolo sia del movimento e del trasferimento che della normatività, della codificazione. Proprio per questo i corpi sono sistemati in modo che evadano da queste casse, adagiati tra dentro e fuori. Ogni sabato pomeriggio alcune performer danno vita a queste creature di stoffa, indossandole e raccontando dal vivo la storia del personaggio.
Come specifica la stessa Koťátková in un’intervista, il titolo fa riferimento alla storia coloniale. Servendosi della metafora del corpo come isola, ragiona su quanto oggi i corpi siano colonizzati dal sistema, dalle pressioni e dalle strutture che li circondano.
Lo scopo di Koťátková, perciò, è quello di dare spazio e forma a quei corpi che per più ragioni sono silenziosi o stigmatizzati. Non dà coordinate precise per capire esattamente di chi o cosa si stia parlando, ma si può facilmente intuire che i protagonisti sono corpi, principalmente umani, che hanno sofferto o che si sono sottomessi a certi schemi costanti su come agire, muoversi e parlare. Ciò è dimostrato dalle frasi-manifesto appese per la sala assieme a pinne di stoffa, come ad esempio: «Il mio corpo non è una borsa che deve portare tutto il peso» oppure: «Non voglio essere un contenitore di droga».
Al centro della sala un tavolo rotondo, con tante sedie quante paia di scarpe da ginnastica, tentacoli di peluche e maniche di camicie tutte diverse. Questa postazione si chiama Collective Body, e sottolinea la multiformità dei corpi, raccontando della necessaria interconnessione tra i corpi umani e non, che oggi più che mai assume significato, soprattutto dopo la globale esperienza pandemica. Servendosi dell’immagine dell’isola, l’opera di Eva Koťátková mostra come quanto la storia di un corpo maltrattato o escluso possa oggi connettersi ad altre storie di corpi che hanno vissuto un’esperienza simile, permettendo l’identificazione attraverso le sue sculture tessili e le storie che racconta con giocosa delicatezza.