Onirico, dorato, favoloso, magico ma anche denso di cambiamenti e di riflessioni: è il mondo dell’infanzia, come raccontato da due mostre, tra pittura e scultura, in apertura nella Galleria Punto sull’Arte di Varese e visitabli fino al 23 dicembre 2023: Invisibili Alchimie di Claudia Giraudo e Echoes di Lene Kilde.
Claudia Giraudo espone una decina di quadri dedicati alla sua ricerca nel mondo dell’infanzia, un’indagine che incomincia dentro sé stessa, condotta dal proprio personale Daimon, la guida che ci accompagna nel percorso vitale spronandoci a seguire ciò che è più adatto alla nostra realizzazione personale. L’artista ha infatti deciso di vivere in solitudine in un piccolo paese dell’Astigiano, dialogando con se stessa e la sua parte onirica, regalando a chi osserva visi di bambina e corpi di animali, in un gioco di continui rimandi che indicano il difficile e inquieto percorso dell’infanzia.
La pittura di Giraudo rimanda al Realismo magico e se da un lato appare l’influenza pittorica rinascimentale dei maestri italiani, che restituisce un contesto di grande realismo, dall’altro si creano situazioni che raffigurano una visione della realtà sospesa nel mondo onirico. L’artista attinge continuamente nel suo mondo interiore, forse per un senso di disillusione verso una certa realtà contemporanea, tendendo quasi a evaderne. Il Realismo magico cerca lo stupore, la meraviglia, il trovare sensazioni che scavalchino il mondo ordinario per crearne di nuovi e imprevedibili.
«Per Giraudo dipingere è un bisogno primario, il pane e l’acqua dell’esistere, e la sua è una pittura di alta perfezione tecnica in continuo divenire, mutevole come la vita umana, continuamente cangiante, similmente ai colori della libellula o del camaleonte. Sono vite in boccio quelle che Claudia sceglie di rappresentare, bambine e bambini colti nella loro bellezza primordiale, prima che l’avanzare dell’età mostri la differenza di genere, ritratti in cui lo sguardo si perde in lontananza o si riflette all’interno, in una meditazione forse consapevole o nella ricerca del proprio Daimon», si legge nel testo introduttivo alla mostra.
«Le bambine e i bambini dei quadri di Claudia Giraudo, seguiti dal loro Daimon come nel romanzo “La bussola d’oro” di Philip Pullman, in realtà non esistono, non sono ritratti di persone reali ma archetipi, volti e corpi inventati che si ripetono all’infinito, con i loro sguardi sul mondo, il nostro mondo, fatto soprattutto di cose materiali, lontano dall’ “invisibile” che l’Artista vuole rappresentare. Il ripetersi di caratteristiche somatiche, come i capelli rossi o le efelidi, sono un riflesso dell’inconscio, un segno istintivo, “di pancia”, che Claudia esalta da sempre, assieme alla continua ricerca di animali-medicina, gli spiriti della Natura invocati dai nativi americani, totem arcaici in grado di guidare le nostre azioni per l’intera vita».
Lene Kilde espone una serie di sculture in calcestruzzo e rete metallica che raffigurano bambini, colti in diverse situazioni collegate tra loro. L’artista intende infatti descrivere i sentimenti dell’infanzia, i piccoli gesti quotidiani, la magia dei giochi, la felicità e la riflessione, chiamando lo spettatore a “riempire” il vuoto apparente delle sculture con il proprio vissuto. I bambini di Kilde non hanno volto, ma “parlano” attraverso il linguaggio del corpo, con le mani, i piedi e la postura, che rivelano gesti a volte abituali altre casuali. Sta a chi guarda attivare frammenti di memoria e adeguarli agli spazi lasciati liberi dall’artista, attraversati dal “vento” dei ricordi.
ECHOES è il titolo che Lene ha scelto per la sua prima mostra personale a Punto sull’Arte, pensando che le sculture riflettano, come una eco, il pensiero del visitatore e colmino così il vuoto (solo volutamente apparente) che “respira” oltre le mani, la vita, le gambe, il busto delle bambine soggetto di una lunga ricerca. Un respiro che parrebbe un ossimoro rispetto al “peso” di ciò che è adoperato per creare, il calcestruzzo e la rete metallica, non certo, nella loro sostanza, materiali che diano l’idea di leggerezza. Ma il passo finale deve compierlo la fantasia, in primis quella dell’artista, e poi di chi fruisce dell’opera, rivangando magari ricordi d’infanzia, giochi e abitudini, perfino capricci o passioni, colmando di vita vissuta quel “vento” che attraversa il corpo immaginato del soggetto.
Lene Kilde è una fine osservatrice del linguaggio corporeo, e nelle sue sculture materializza attimi fuggenti, piccoli movimenti delle dita, gesti quasi impercettibili, posture che magari sembrerebbero banali, ma che riviste nell’opera parlano di noi come e più di un ritratto finito. Non è necessario scolpire emozioni attraverso la mimica di un volto, perché occhi naso bocca sono parte stessa dell’azione immaginata, di quel lembo corporeo perfettamente dettagliato che Lene descrive grazie al suo vissuto, a ciò che l’infanzia le ha regalato oppure ha osservato nelle bambine che giocavano con lei, ma anche grazie alla continua osservazione dell’altro, alla costruzione di emozioni condivise.
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