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Un braccio piegato verso l’interno, due dita nascoste nella piega: nulla di sconvolgente. Eppure qualcosa di scherzosamente scandaloso ce l’ha il disegno Cookie Jar, opera parte di Skin on Skin, prima mostra personale di Saskia Colwell visitabile fino al 15 marzo nella sede veneziana della galleria Victoria Miro. Che cosa? La posizione della mano? La piega della pelle del braccio? Importa?
Il linguaggio del nudo non è certo nuovo nel panorama culturale della laguna, nelle sale delle gallerie – la mostra di Beatrice Favaretto Multiple Maniacs ha da poco chiuso a Mare Karina – come in quelle dei musei. Eppure Skin on Skin, con un tono scherzoso, scanzonato ma con un retrogusto politico, riesce nell’ardua impresa d’inserirsi nel dialogo dell’intimo e dell’erotico senza cadere nei cliché del caso, ed anzi sperimentando formule talmente nuove da apparire come neologismi.

La mostra, accompagnata da un meraviglioso saggio di Hannah Hutchings-Georgiou, Private Views, consultabile sul sito della galleria, racchiude nove disegni a carboncino, che, nelle parole della Hutchings-Georgiou “professano innocenza, anche se sono colmi di consapevolezza”. In Mask Off, l’innocenza delle membra esposte e il loro simbolico candore sono in netto contrasto con il profondo nero dello sfondo e con la posa, volutamente ambigua, del corpo ritratto. Colwell sembra da un lato prendere in giro il pubblico ponendo il principio di un dubbio in un disegno che sarebbe altresì un tripudio di ingenuità, accusandolo cosi sottilmente di malizia.
D’altro canto, l’artista rivendica l’utilizzo dell’osceno, – Praise the Lord – ma privandolo sia dell’aspetto pornografico che di quello divino – quest’ultimo più volte ironicamente ripreso nei titoli delle opere – che da sempre si alternano nella rappresentazione del corpo femminile. Accompagnando alla porta sacro e profano, Colwell fa entrare l’ironia, ridendo della confusione dello spettatore per le sue opere, come a dire: ti scandalizzi per così poco?

Il successo dell’esposizione non è certo casuale. Colwell, londinese classe 1999 passata dai banchi della Slade School e del Royal College of Art, è una delle artiste ad essere state invitate dalla galleria Victoria Miro a partecipare ad una residenza artistica a Venezia nella primavera del 2024, durante la quale ha iniziato a lavorare alle opere ora in mostra. La rilevanza del soggiorno veneziano è palpabile nel gioco di luci instauratosi tra le opere, le vetrate ed i pavimenti delle sale tirate a lucido, il cui colore marmoreo – reso vivo dall’onnipresente rincorrersi di riflessi sul canale che scorre a fianco alla galleria – riprende quello dei corpi statuari dei dipinti di Colwell, quasi trascinandoli fuori dalla cornice, e mettendola implicitamente in questione. La cornice si fa così metafora del corpo stesso, che, riprendendo la teorica femminista Elizabeth Grosz – citata dalla Hutchings-Georgiou- “non consiste in un dentro e un fuori intesi come materie antitetiche, ma […] in una superficie continua”.
Visitare Skin on Skin è dunque un’inaspettata esperienza: si entra da voyeur, si esce trasformati in oggetti di analisi. Attraverso le sue opere, i suoi schietti, diretti disegni in bianco e nero, la Colwell ci obbliga ad interrogarci sul significato del nudo, lo sgrava della sua solennità e ci invita a rimettere mano ai limiti stessi dell’intimo, del privato, dell’osceno, mente ci prende bonariamente in giro.
