Nei lavori del collettivo torinese Opiemme la parola diventa materia, immagine: si dissolve il significato linguistico-testuale e nascono collage materici e intricate mappe che indagano il punto di incontro tra poesia ed arte visiva. Filone centrale della loro ricerca è il rapporto tra uomo, tecnologia e natura: tre entità distinte, ma i cui confini, a guardar bene, non sono poi così netti.
Proprio a questo collettivo è oggi dedicata una piccola mostra personale negli spazi di Marignana Project, a Venezia. Ciò che resta, ciò che cambia —così si intitola l’esposizione— è un progetto che permette di immergersi nei nuovi lavori di Opiemme, ispirati in particolar modo alle poesie di Andrea Zanzotto e al suo approccio etico-ecologico, per un’indagine sulla capacità della materia di trasformarsi e rivivere in nuove forme.
In contemporanea, lo spazio principale di Marignana Arte presenta Human Gravity, mostra collettiva nata proprio da un’idea di Opiemme, che qui espone alcuni dei suoi lavori più recenti, accompagnati da opere di Arthur Duff, fuse*, Aldo Grazzi, Yojiro Imasaka, Silvia Infranco, Alessandra Maio e Quayola.
Insieme, i due progetti si prefiggono di indagare il rapporto uomo-natura e il peso —da qui il titolo Human Gravity— che i processi antropici hanno sull’ambiente, al tempo stesso proponendo però un’alternativa: quella della leggerezza, della contemplazione estetica, dei paesaggi incantati.
È un esempio di ciò il lavoro dell’artista giapponese Yojiro Imasaka (Hiroshima, 1983), che, sperimentando con le tecniche fotografiche, dà vita a scenari dall’aspetto primordiale, cristallizzati al di fuori del tempo e dello spazio. L’opera esposta da Marignana, in particolare, consiste in uno scatto realizzato durante una residenza artistica a Venezia. Tuttavia, l’ecosistema lagunare qui rappresentato sembra piuttosto quello di un altro pianeta: è maestoso e fragile al tempo stesso, in bilico tra il sublime e il cataclisma.
Anche il lavoro di Quayola ci porta ad osservare l’ambiente attraverso una lente nuova, ovvero quella digitale. La sua serie dei Jardin (2018), di cui in mostra sono esposti due esemplari, consiste in video realizzati con l’aiuto di un algoritmo ed ispirati alle opere impressioniste di Monet. Da questi video vengono poi ricavate delle stampe digitali che offrono un modo innovativo di guardare ai lussureggianti paesaggi della Loira.
Anche lo studio modenese fuse* sviluppa un’indagine su quelli che sono i confini sempre più tenui che dividono naturale e artificiale, e lo fa, in particolar modo, attraverso la serie Unseen Flora (2024). I lavori in questione propongono, sia in formato video che cartaceo, una botanica surreale, inventata per l’occasione da un’intelligenza artificiale. Le straordinarie e dettagliate piante che si susseguono sullo schermo costituiscono dunque la vegetazione di un mondo possibile, ma mai veramente esistito: sono un erbario immaginario e immaginifico.
Al termine dell’esposizione, il visitatore incontra infine i lavori di Aldo Grazzi (Mantova, 1954 – Perugia, 2023), in particolare due opere della serie Ruota e Rifletti —protagoniste di una recente mostra presso Spazio Berlendis. Si tratta di creazioni eteree, impalpabili, realizzate con reti in fibra su cui l’artista disegna geometrie intricate con piccole forbici. Per Grazzi, la natura è fonte di ispirazione e riflessione, approccio che si concretizza nell’estrema spiritualità del suo gesto artistico, che diventa così processo meditativo.
Questo aspetto sacrale è particolarmente interessante nel contesto delle due esposizioni proposte da Marignana Arte: se la “gravità umana” è infatti evidente nelle opere esposte, al tempo stesso ciò che si scorge è il desiderio di un nuovo rapporto con l’ambiente che ci circonda, una relazione basata sull’incanto e sullo stupore. La vera domanda perciò è: può l’arte restituirci questo incanto?
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