Dal 15 dicembre la Galerie Placido di Parigi presenta il progetto “Apnée” a cura di Lionel Rothschild. La mostra è il frutto della collaborazione avvenuta tra un gruppo di artisti di nazionalità italiana operanti all’estero che, nel periodo di massime restrizioni adottate a seguito del dilagare della pandemia da Covid-19, hanno intessuto un fitto rapporto finalizzato ad una riflessione collettiva che potesse dare via a un dialogo e a un confronto sulle opere di ciascuno che potessero divenire espressione della dimensione alienante creatasi a seguito dell’emergenza sanitaria. Nell’esposizione parigina sono presenti le opere di Samantha Bertolotto, Veronica Botticelli, Gioacchino Pontrelli, Guendalina Salini, Caterina Silva, Alessandro Valeri.
Il titolo “Apnée” è, idealmente, legato alla contingenza di drammatico isolamento conseguente alla drastica interruzione di tutte le attività umane, improvvisamente sospese in concomitanza col lockdown del 2020, periodo nel quale l’umanità ha vissuto una forzata condizione di angosciante “immersione” in una dimensione di solitudine connotata da una radicale, silenziosa stasi.
La finalità di questa mostra è connessa in prima istanza alla dimostrazione del valore catartico del processo creativo, l’unico in grado di antagonizzare efficacemente stati di forte difficoltà fisica ed emotiva, connessi, nello specifico, allo stravolgimento esistenziale a cui la pandemia ha costretto l’umanità, mostrando un percorso che consente di trascendere dalle contingenze reali, creando una dimensione ‘altra’ dove l’interiorità e la soggettività trovano spazio per esprimersi a pieno. Il progetto dimostra inoltre l’importanza prioritaria del confronto tra diversi linguaggi, da cui si generano sempre ulteriori idee e modi di esprimersi.
Nei lavori esposti si colgono efficacemente spunti che hanno relazione diretta con la condizione di sospensione e di isolamento. Al contempo, in una valenza talora “duplice” di alcune opere, sono rilevabili dati che offrono un “barlume di luce” che fa ben sperare in un auspicato ripristino di una condizione umana più rasserenante.
Se il dipinto “Démêler” (2022) di Caterina Silva, può riconnettersi idealmente alla condizione di ‘groviglio’ esistenziale che, proprio della natura umana, si è andato aggravando con le condizioni che la pandemia ha imposto all’umanità, la rappresentazione, in alcune opere, di interni di abitazioni come “Interno francese”, sempre della Botticelli, o “Senza titolo” di Gioacchino Pontrelli, diventa un emblema assolutamente efficace dell’atmosfera sospesa che si è vissuta in un recentissimo passato e le cui conseguenze sono, tutt’oggi, sensibilmente tangibili.
L’isolamento interiore e la condizione di alienazione sono parimenti evocati in opere come “Ritratto” di Samantha Bertolotto, raffigurante il volto di una donna che assume l’aspetto di una di sorta di “icona” moderna con tratti fisiognomici che potrebbero essere allusivi a quelli di emergenti pop star americane (come, ad esempio, Lady Gaga). I tratti umani del viso femminile si perdono nel maquillage parossistico che definisce e sottolinea le labbra ipertrofiche e i grandi occhi spalancati, nella capigliatura assimilabile ad acconciature settecentesche, in quello sguardo fisso e stordito dall’ascolto di messaggi, forse musicali, riguardo ai quali non è dato allo spettatore conoscere la natura specifica.
Ma se la rievocazione di uno stato di isolamento e di ‘chiusura’ rispetto al mondo esterno appare evidente in molte tra le opere esposte, è al contempo data la possibilità di cogliere qualche labile segno di un’auspicata proiezione verso una dimensione di ‘apertura’ corrispondente ad un prossimo superamento di questa condizione. Questo è ciò che mostra “Untitled” di Guendalina Salini, dove la natura paesaggistica, osservata pur sempre dall’interno di un’abitazione, costituisce un indizio vitale di qualcosa che va oltre i limiti fisici di una struttura chiusa entro la quale si è costretti. L’opera “Apnée. Interno francese” di Veronica Botticelli rappresenta un ambiente interno, qualificato da una carta da parati dal rievocativo colore azzurro, con la sola presenza di due elementi di arredamento, dei lampadari. Se, da un lato, l’artista ripropone, puntualmente, la claustrofobica dimensione di un’abitazione in cui si è irrimediabilmente immersi, sembrerebbe al contempo rievocare l’idea di un’enorme distesa d’acqua solcata dalle due strutture-lampadari che, anche se solo da lontano, possono rievocare la fisionomia di due enormi imbarcazioni a vela viste dalla prua, entità che, solcando il mare, sono ormai finalmente fuori dalla dimensione angosciante di apnée. Infine, “Tutto il mio amore” di Alessandro Valeri rievoca una condizione di evidente costrizione. La figura femminile che è protagonista dell’opera, distesa su di un piano pavimentale con il volto rivolto verso terra, è raffigurata nell’atto di liberare i polsi, bloccati dietro la schiena dalla stretta morsa di un laccio che li serra. È in atto la lenta e faticosa riemersione dall’abisso di una prigionia fisica e mentale che consentirà di riacquisire una rinnovata condizione esistenziale in cui la ritrovata capacità di respirare diventerà parte essenziale per un ritorno alla vita.
L’intervista al curatore Lionel Rothschild consente di cogliere alcuni ulteriori aspetti legati al progetto della mostra.
La mostra Apnée nasce da una serie di incontri che hanno preso vita durante il periodo di lockdown del 2020, in cosa sono consistiti?
Dal momento in cui il mondo ci ha placcato dentro ad un nuovo paradigma virtuale, dal momento in cui le carte erano disposte diversamente, dal momento in cui la leggerezza era meno palpabile, dal momento in cui, il pubblico, la condivisione, gli spazi, i pensieri, sono stati messi alla prova, rimanere uniti in quel tempo virtuale è stata la promessa di ritrovare forza ovunque fosse possibile e uno spazio di libertà. Portare cibo dove forse uno non credeva di avere fame, unione di pensieri, forza del gruppo, condivisione, senso di avventura.
Qual è il fil rouge che lega le opere esposte in mostra? In che modo ciascun artista evidenzia la componente catartica insita nelle proprie opere?
Più che un fil rouge direi che si possono individuare alcuni temi che declinano questa esperienza del lockdown in diversi modi: il rapporto tra interiorità e mondo esterno, i luoghi intimi e il respiro più grande che la natura evoca. Come se questo vissuto e i suoi echi avessero reso le idee e le azioni più nitide e questo fosse l’aspetto catartico per ogni pratica e ricerca degli artisti in mostra.
Il titolo “Apnée“, evidentemente evocativo della condizione di ‘sospensione’ legata all’isolamento, all’allontanamento dalla vita reale imposto dalla pandemia, vuole alludere anche a una condizione esistenziale più ampia dove l’impossibilità di affrontare le illogiche contraddizioni dell’esistenza, è equiparabile ad una sorta condizione dove sembrerebbe dilagare l’incapacità di respirare a fondo l’esistenza?
Lionel Rothschild: Togliersi un attimo. Astrarsi. Perdere contatto con la fonte primitiva della vita, rifugio effimero.
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