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Il ribaltamento di genere attraverso gli oggetti domestici: Formafantasma a Milano
Mostre
“Siamo tutti case vuote e aspettiamo qualcuno che apra la porta e ci renda liberi”
Ferro 3 – La casa vuota
L’esposizione di Formafantasma è allestita al primo piano di ICA e presenta una selezione di dodici oggetti, arredi e mobili di nuova produzione, disposti nello spazio centrale e nelle più raccolte salette laterali. La Casa Dentro, in corso fino al 19 luglio 2024, è un progetto armonico e doloroso, una mostra che è luogo di ricomposizione affettiva misurata nelle dissonanze e nelle memorie, non nella funzionalità degli elementi. Andrea Trimarchi e Simone Farresin riflettono su come traslare le sensazioni in oggetti inanimati ma capaci di evocare impulsi metafisici attraverso il fisico. La casa che Formafantasma esteriorizza è un luogo di ricomposizione affettiva, un recupero emotivo del proprio passato, di quei desideri e disagi, rigidità e vulnerabilità che ingombrano gli oggetti e che perpetuano la memoria dei sensi.
Il duo di progettisti è noto a livello internazionale per le sue provocazioni materiche e per la rigorosa ma aggraziata capacità di indagare il rapporto tra la cultura e la tradizione, e come queste modellano gli ambienti e i manufatti dall’umano. Ad ICA, per la prima volta, vediamo una forma più vulnerabile del loro lavoro, una proposta più introspettiva e romantica, che muovedall’identità personale e dal vissuto d’infanzia. I 12 oggetti esibitisono sedute, un tavolino da tè, lampadari autoportanti o a soffitto, chaise longue, poltrone e mobili che giocano sulla verticalità e orizzontalità dispositiva, in un design dall’umore malinconico ma schietto e quasi giocoso, fatto di legno, tubi innocenti, colori notturni e decori floreali dipinti a mano che sembrano essere stati fatti da un bambino, di nascosto. Il progetto La Casa Dentro lavora su due piani concettuali: da una parte, l’intimismo legato alla riflessione intorno all’idea di casa, dall’altro un aspettoideologico, in una critica al modernismo e alle sue impliciteideologie.
L’intento della mostra è ricostruire il soggettivo sentimentale vissuto tramite oggetti che si rifanno alle estetiche dei nostri passati famigliari: i colori e i decori dei mobili, raccontano gli artisti, sono stati ispirati delle case delle madri e dei padri, quei tripudi di soprammobili in vetro, collezioni di oggetti kitsch ed eccentrici, caleidoscopio di colori e cose appoggiate su ogni superficie disponibile, soffocamento di cuscini, stoffe, pieghe, tovaglie, odori di pulito e profumo di felicità.
Lo spazio domestico è narrazione materica della nostra “architettura individuale”, un edificio di memoria fatto di stanze i cui punti di fuga sono momenti di vulnerabilità talvolta sconfortanti, impermanenti e scomodi con cui dobbiamo fare pace. Momenti di leggeri ricordi che, usando le parole di Cioran, hannola “tentazione di esistere”, che avvengono nelle nostre periferie e nella purezza dei nostri vuoti. Gli oggetti raccolti nelle nostre stanze sono dotati di quella che potremmo chiamare forza agentiva, ovvero la capacità di influenzare emotivamente le interazioni tra persone, idee e azioni. Artifici non artificiosi e mai statici, narrazioni poetiche dello spazio che abbiamo sognato e che protegge la nostra intimità. Nell’installazione è presente una forte accezione psicanalitica, legata all’edificio dell’inconscio umano e alla memoria, che può avere un valore rigenerativo e dare forma a nuove significazioni. Marcel Proust parla di memoria involontaria: essa avviene quando un ricordo è scatenato da un oggetto, senza preavviso, che viene a contatto con noi tramite un’esperienza sensoriale. Un ricordo che credevamo perduto per sempre e che, improvvisamente, ritorna a noi. Alain de Botton scriveva di comeuno spazio abitativo, nelle sue forme architettoniche, raccoglie sempre la coerenza, il caos, i difetti e le personalità di chi la abita:“Col tempo, la casa in cui abbiamo abitato si è trasformata in una testimone bene informata. Rifugio fisico quanto psicologico, ha vegliato sull’identità dei suoi proprietari. Nel corso degli anni, nonostante i traslochi e i cambiamenti, essi vi sono tornati ed entrando, guardandosi attorno, hanno ricordato chi erano”. Casa, quindi, è una questione di identità.
La seconda dimensione di La Casa Dentro guarda criticamente aquel che rimane dell’eredità culturale che affonda le sue radici nel ‘900 di matrice modernista. I mobili e gli arredi sono tenuti insieme da tubolari metallici piegati, divenuti simboli esemplificativi della modernità, che riconosce nella semplificazione funzionale e nel “less is more” i suoi assunti principali. Legno dipinto e colorato, tubi di acciaio curvati, vetri di Murano, tendaggi, luce a LED, seta ricamata: unità compositiva che lascia spazio all’antitesi e all’incongruo. Non si tratta di un pastiche postmoderno o di un omaggio al camp o al kitch, spiegano i due designer, ma di un tentativo di discostarsi ideologicamente dal discorso del design moderno classicamente inteso, una modalità romantica di restituire poesia all’oggetto: dare spazio al grazioso e al femminile, spesso culturalmente sviliti. Il decoro assume qui valore opposto a quello di orpello e diventa un atteggiamento, una condotta ideologica, un comportamento aggraziato che oppone resistenza alle ideologie culturalmente imposte e che, quasi con rabbia, mette in scena quello che prima doveva mimetizzare e nascondere. Un progetto audace che sfida i canoni mascolini e virilizzanti del Novecento, evidenziandone criticamente le sfumature conservatrici e la natura di genere. Sbarazzarsi di questa eredità, come fosse un ingombro che non siamo in grado di spostare, una postura scomoda a cui ci hanno abituato, un’eco lontano e disturbante.
Una mostra che è narrazione prima ancora che progettualità: La Casa Dentro conserva la tensione drammatica tra la materia e la sua smaterializzazione e mette in scena la dinamica del desiderio, in equilibro tra il trattenere e il lasciare andare: allontanamento dal salotto famigliare e il successivo ritorno ad esso. Uno spazio che lascia emergere, con onestà, la coerenza inconsistente deglioggetti e dei ricordi della nostra vita che, nonostante tutto, ci hanno fatto diventare gli adulti che siamo.
E’ tutto un controsenso, dal momento che lo spazio non sa per niente di casa e qualche mobile sparso di certo non ricorda le case di un tempo. Come avete detto è una narrazione più che altro.