Chi entra da Contemporary Cluster, allâinterno di Palazzo Brancaccio, a Roma, per visitare SPAZIO, il vuoto su cui tutto giace, mostra personale di Cristiano Carotti (Terni, 1981), capisce fin dallâinizio di essere stato invitato dallâartista in una dimensione âaltraâ, in un viaggio oscuro che assume tutte le caratteristiche di una catabasi. La prima immagine della mostra è un candeliere votivo. Seguono un rosone e una pala dâaltare. Eppure non stiamo attraversando uno spazio sacro. O forse sĂŹ, potremmo essere in una cattedrale. Ma, pronunciando questa parola, dobbiamo tenere bene a mente il significato datole da Kurt Schwitters, quando ribattezzò il suo Merzbau â leggendaria opera ambientale realizzata ad Hannover tra gli anni Venti e gli anni Quaranta del Novecento â come una Cattedrale delle miserie erotiche.
Lâevocativo titolo della mostra mette in luce lâimportanza del concetto di spazio allâinterno del progetto espositivo che, rispetto a questo specifico aspetto, può essere considerato come la naturale prosecuzione della precedente personale di Carotti, Tra cane e lupo, al CAOS â Centro Arti Opificio Siri, Terni, dellâottobre 2023, a cura di Eleonora Aloise. Come giĂ aveva fatto nella sua cittĂ natale, lâartista dimostra qui, ancora una volta, di esprimersi al meglio in una dimensione ambientale allargata.
Se a Terni la mostra metteva in scena uno straniante viaggio lineare nel momento incerto del crepuscolo, qui il viaggio è completamente notturno e si snoda in maniera piÚ labirintica tra i relitti della modernità . Tra questi elementi Carotti va a cercare il sacro in maniera estremamente profana, trasformando la materia attraverso un processo in cui alto e basso si incontrano in luoghi non banali, a metà strada tra miti antichi e moderni, tra paesaggio naturale e antropico, tra spazio e vuoto, appunto.
Chi segue il suo lavoro da anni sa che il rapporto con lâoggetto sacro è per lâartista un rapporto âritrovatoâ, che qui si esplicita in maniera piĂš attiva ed estroversa, quasi esoterica. Le candele accese che accolgono il visitatore di fronte alla porta dâingresso, gocciolanti cera su grate metalliche, rendono omaggio a Venere, la stella del mattino, una stella a cinque punte, in ferro. Lâenorme rosone trasparente non è una finestra, non apre verso lâesterno, non fa entrare alcuna luce. Ă costituito da un assemblaggio di parabrezza dâautomobile crepati, riparati con inserti di alluminio e rimessi insieme a creare una perfetta geometria che rimanda allo Zodiaco. La pala dâaltare è dedicata a Pegaso ma il cavallo alato, finalmente libero dal domatore Bellerofonte, non è dipinto su tela o tavola, bensĂŹ sul portellone posteriore di un tir illuminato con la luce di Wood. Sparsi a terra, calchi in alluminio, sempre sulla soglia tra homo naturalis e homo mechanicus, dicotomia fondamentale nella poetica di Carotti, come spiega approfonditamente Domenico de Chirico, curatore della mostra, nel suo bel testo di presentazione.
A pavimento è anche lâopera piĂš suggestiva di tutta lâesposizione, intitolata Discendi come il fulmine, risali come il serpente: un lampione stradale acceso che si snoda, in maniera non lineare, sul pavimento della sala di fronte al rosone e ci costringe a scavalcarlo per proseguire la visita. Ma prima ci invita ad avvicinarsi alla sua luce che ci abbaglia, diretta comâè dal basso verso lâalto. E solo da vicino si scorge un dettaglio fondamentale: appoggiata al bordo della sorgente luminosa câè una libellula in argento, attratta (come noi) dalla luce. Ecco ritornare quel combinare sacro e profano allâinterno di una dimensione ambientale che assume chiari riferimenti alla strada, sia in termini letterali che metaforici.
Questa di Carotti è, infatti, una mostra on the road ma a tappe: una esposizione di ambienti che lo spettatore è invitato ad attraversare in successione, senza averne mai una visione dâinsieme. Fondamentale in questo viaggio è lâattenzione alla luce, che diventa parte integrante della progettazione delle opere per le storiche sale di Palazzo Brancaccio. Dallâambiente piĂš scuro â quello iniziale, con la luce gialla delle candele â si attraversa la luce assente, che non entra dal rosone, la luce bianca del lampione a terra e quella viola che illumina Pegaso. E si arriva allâultima sala della mostra, illuminata in maniera compatta da neon freddi. Per giungervi bisogna salire delle scale ed è come tornare a âriveder le stelleâ, lâanabasi che segue la catabasi, lâalba che chiude il viaggio al termine della notte.
In questa parte finale, la mostra assume una connotazione piĂš ortodossa, con quadri a parete e sculture disposte su plinti, ma il viaggio fatto per arrivarci dĂ ai cardi (dipinti o scolpiti) tutto un altro sapore. Il grande dittico su tela, raffigurante un ristoro a ponte ormai in disuso, diventa uno sfondo post-apocalittico vuoto, che non ci invita a sostare. Siamo costretti a tornare indietro, per poter ricominciare il viaggio.
La mostra di Cristiano Carotti sarĂ visitabile da Contemporary Cluster, a Roma, fino al 4 maggio 2024.
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