Si ricomincia, o almeno così pare. Albumarte torna a inaugurare, è il primo spazio romano a farlo. La sensazione è certamente strana, non conforme alla normalità, tuttavia l’arte, come sempre, ci viene incontro. “Allegra ma non troppo”, la mostra di Sonia Andresano (Salerno, 1983), a cura di Daniela Cotimbo, infatti, è molto intensa, profonda, e lascia il respiro alla riflessione. E ci troviamo tutti lì, cercando di dare un senso a questa normalità apparente.
La mostra però ci viene in aiuto, perché è pregna di contributi utili a mettere a fuoco sentimenti e sensazioni. In mostra alcuni lavori realizzati negli ultimi tre anni, ma altri anche pensati durante il lockdown. È un percorso di ricerca, ennesima tappa di riflessione che sembra urgente nel pensiero di un’artista. Andresano è giovane, eppure nei suoi lavori si sedimenta una consapevolezza che solitamente troviamo in artisti più maturi, apparentemente più strutturati. La sua mostra ci parla di spazi, luoghi, sentimenti contrastanti. Come nel video che ci accoglie, dal titolo Che ci faccio qui?, una domanda relativa ma anche assoluta, perché il qui non ha più una definizione stretta e precisa, delineata e coerente. È, se possibile, un qui ancora più esistenziale, dell’anima, concettuale.
Così come sono concettuali quei luoghi delineati nei lavori in cui spicca la piccola e bianca mosca, che vediamo muoversi tra luoghi precisi, che nel percorso di Andresano hanno avuto una importanza determinante. Una bianca mosca, piccola ma evidente, che traccia una linea del suo percorso, che attende, si sorprende, osserva, una sorta di alter ego dell’artista insomma.
Due però sono le opere che più hanno sorpreso, Veicolo cieco la prima. Una scultura in resina opaca, una copia di uno specchietto retrovisore di un tir, che illude lo spettatore. Ci si avvicina per vedere all’interno, per trovare la speranza nel futuro, magari anche prossimo. Ma il futuro non esiste, la resina opaca ci impedisce di vedere oltre, di assegnare uno sguardo alla nostra speranza, di dare un volto al futuro, si rimane soggiogati, perché il desiderio di vedere all’interno c’è ed è evidente. Eppure non è possibile.
Altro lavoro intenso – come non potrebbe non esserlo – è il video che l’artista ha realizzato appena ha potuto rimettere piede nello spazio. Ritrovarsi in un luogo conosciuto, prossimo, intimo, pervaso però da un tempo fermato ed immobile, come fosse una sostanza che ha reso corposo e reale un concetto altrimenti astratto. Un pulviscolo minuscolo caduto sopra a ogni cosa, che ha reso quel luogo un luogo nuovo, paradossalmente con una diversa vitalità, data dall’ascolto dai garrii, presenti e piacevoli, emessi dai pappagalli che, durante il lockdown, si sono appropriati dello spazio circostante la galleria. Perché la vita, intesa in ogni sua forma, riprende sempre i suoi spazi.
Proprio di questi giorni è poi la notizia della vittoria del progetto di Albumarte, presentato al bando dell’ottava edizione dell’Italian Council (qui tutti i progetti vincitori). Un libro, una pubblicazione in cui si racconterà il percorso eccitante e sorprendente di questo luogo, con gli artisti ed i curatori che ne hanno fatto parte.
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