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Il significato dell’analogia nella mostra di Gianni Caravaggio a Torino
Mostre
Si intitola Per Analogiam la personale di Gianni Caravaggio alla GAM di Torino. L’esposizione s’inscrive in una serie di eventi espositivi curati da Volpato nel corso degli ultimi tre anni, ognuno dei quali incentrato su un tema di carattere filosofico. Se nel 2021 il tema il tema era la contraddizione, nel 2022 è stata la volta del concetto di trasformazione, con la mostra Hic sunt dracones, dove le opere di un’artista venivano messe in dialogo con quelle di un collettivo. Per il 2023 il tema è invece l’analogia e l’argomento è sviluppato appunto attraverso il lavoro di uno degli artisti più interessanti dell’attuale panorama italiano contemporaneo.
Il tema dell’analogia è un filo conduttore particolarmente efficace per comprendere il lavoro di Caravaggio, le cui opere si pongono come dispositivi concettuali volti a stimolare l’immaginazione in molti sensi e direzioni. Che cosa vuol dire analogia, o pensiero analogico? “L’Analogia confina a sud con la Tematica e a nord con la Dialettica; al centro, fra un ovest che è la Scienza e un est che è l’Arte, essa è coinvolta in una lotta intestina con la Logica. Ed è una lotta che essa non può perdere, anche se probabilmente non può neppur vincere” scriveva il filosofo Enzo Melandri. E la frase risuona molto bene – se non altro analogicamente! – con le opere di Caravaggio.
Certo, il pensiero analogico procede per somiglianze, vicine o lontane. Avvicina ciò che è simile, sottolineando allo stesso tempo le differenze e creando, così, in questo gioco dialettico, un’area semantica di comprensione al tempo stesso estremamente libera e profonda. Ma, proprio perché priva delle tensioni e della rigidità del procedimento deduttivo o induttivo, l’analogia non è neppure apodittica. Dice, ma rimanda sempre ad altro fuori di sé, e in questo rimandare crea uno spazio abitabile dall’immaginazione di ognuno, un universo inedito, potenzialmente orientato ad arricchirsi sempre più e senza limiti di nuove intuizioni, suggestioni e stimoli.
Caravaggio è un vero maestro dell’analogia. Nato a Rocca San Giovanni, in Italia, nel 1968, è cresciuto in Germania, patria della cultura filosofica che l’ha probabilmente influenzato, e oggi vive e lavora a Milano. Il suo lavoro fa parte delle collezioni della Gam dal 2001. Nella mostra al museo torinese è possibile scorrere lungo le sue opere come in un lungo e appassionante percorso che va dalla metà degli anni Novanta fino ad oggi. I materiali sono diversi, mutando al mutare delle suggestioni e degli spunti a cui l’artista di volta in volta s’ispira, così come le modalità espressive scelte.
Ci sono nuvole di pietra che, come racconta lo stesso artista, si aprono in linee sottili, al modo di certe antiche pitture rinascimentali, a suggerire lo spazio più ampio del cielo che le ospita, mentre “mostrano i loro sentimenti”. C’è un drappo ricoperto di stelle ricamate, nella stessa posizione di quelle che offre il cielo di Torino nella notte del 31 ottobre, sera dell’inaugurazione della mostra. C’è una foto dell’artista da giovane, con una mano anziana che ne sorregge il mento come se fosse la sua, ma in un altro tempo, in uno scarto temporale ricco insieme di riferimenti pittorici e conseguenze concettuali, ma anche esistenziali. Ci sono foglie di palme in coppia, l’una lasciata al suo stato naturale, l’altra fusa nel bronzo, unite come mani che s’intrecciano, tessendo insieme passato e futuro, vissuto presente ed esperienza trascorsa. Ci sono altre mani che tracciano il cielo e il moto dei pianeti, costellazioni come biglie sul pavimento. Ci sono stelle impilate oppure sparse sul pavimento, come un insieme di stelle, letteralmente uno starsystem. C’è anche un marmo tagliato aguzzo, con la punta che si perde verso l’infinito. Ma c’è anche una pietra cilindrica, che in un punto si fa ellittica e pare incurvarsi sotto il peso leggero dello zucchero a velo che imita la neve. Ci sono due pietre dure che paiono insieme avvicinarsi e tenere le distanze, che sono sculture minimal elegantissime, ma anche simili a due amanti indecisi del tipo “io vorrei, non vorrei, ma se vuoi”.
Le foglie sono mani, lo zucchero è neve, il borotalco imita le stelle. La fantasia è all’opera, ma non solo quella dell’artista, anche e soprattutto la nostra, che da quella dell’artista è attivata, restando catturata in un gioco invisibile di rimandi potenzialmente infiniti, che – attenzione, non è un ossimoro – la libera. Il lavoro di Gianni Caravaggio è poetico, denso, minimale, ma ricchissimo. Il fatto che lui stesso, raccontandolo, non esiti a guardare negli occhi i suoi interlocutori, ne è una viva testimonianza.
Così viene da fare una riflessione più ampia. I pensatori post-moderni della fine del secolo scorso cercavano quasi disperatamente di “uscire dalla metafisica”, cioè dalla violenza di un pensiero troppo forte, che esclude e de-finisce (tra questi c’era il da poco scomparso Gianni Vattimo). I loro epigoni cercano un rifugio nel realismo e a volte lo trovano, ma la sensazione è che le strade aperte restino un po’ aride. L’arte, per conto suo, di strade ne suggerisce diverse, tra loro disparate, e questa è solo una delle molte possibili. Una (e non la) risposta, certo, e fantasiosa, ondivaga e rapsodica. Ma anche estremamente libera e infinitamente ricca di possibilità, stimoli e aperture.