Un centenario di spicco per chiudere in bellezza (ma solo temporaneamente). Il Centre Pompidou di Parigi torna a occuparsi, dopo oltre vent’anni, dei surrealisti. E lo fa in occasione della ricorrenza di quest’anno con la grande esposizione Surrealismo. La mostra del centenario. 1924-2024, curata da Didier Ottinger e Marie Sarré, in programma fino al 13 gennaio 2025, l’ultima grande rassegna del museo prima della lunga chiusura per i lavori di ristrutturazione.
Tutto parte con una rilettura – in chiave ultra-tecnologica – del Manifesto del Surrealismo di André Breton, risalente esattamente all’autunno del 1924, che in apertura di mostra viene presentato al pubblico in maniera inedita, grazie a una serie di carte mai esposte prima e date in prestito dalla Bibliothèque nationale de France (la quale a sua volta ne espone altre parti nel suo nuovo museo, inaugurato un paio di anni fa). Le pagine sono allestite in una vetrina, ispirata da quella ideata da Marcel Duchamp nel 1947, posizionata al centro del percorso: pensato come un labirinto a spirale, all’interno di una sala immersiva alle pareti sono proiettati filmati, fotografie e documenti d’archivio che ne raccontano la genesi. Con tanto di lettura del Manifesto recitata dalla voce di Breton, riprodotta attraverso l’intelligenza Artificiale dall’Ircam del Pompidou. Una sperimentazione in linea con quella proposta dagli stessi autori del movimento qui celebrato, che si rivela oggi più vivo che mai.
Il Surrealismo è stato in effetti l’unico movimento d’avanguardia a prendere le distanze dal Modernismo in una fase molto precoce, proponendosi in contrasto con l’industrializzazione, il macchinismo e il progresso, ritenendo necessario inventare a un nuovo rapporto con il mondo, più in armonia con la natura e il cosmo. Un pensiero che torna oggi di grande attualità e al centro di ogni dibattito, che nella mostra viene ribadito anche attraverso il testo di Benjamin Péret del 1937 pubblicato sulla rivista Minotaure, ispirato alla fotografia di una locomotiva divorata dalla giungla amazzonica, che si intitola La natura divora il progresso e lo supera. Il Surrealismo, dunque, è molto di più di un principio estetico o di una tecnica, ma rappresenta una vera e propria filosofia che si costruisce attraverso valori condivisi. Ed è anche per questo che risulta ancora oggi così longevo e soprattutto attuale, riuscendosi ad arricchire continuamente di nuovi spunti, ispirando ancora oggi molti artisti in giro per il mondo.
Tra le opere degne di nota, fra le tante esposte al Pompidou: Il cervello del bambino (1914) di Giorgio de Chirico, prestato dal Moderna Museet di Stoccolma, Il grande masturbatore (1929) di Salvador Dalí dal Reina Sofía di Madrid, La Grande Foresta (1927) di Max Ernst dal Kunstmuseum di Basilea, e il Cane che abbaia alla luna (1952) di Joan Miró dal Philadelphia Museum of Art. Oltre, naturalmente, a L’angelo del focolare (o Trionfo del Surrealismo), dello stesso Ernst, che fa da manifesto alla mostra. Nel percorso si incontrano anche i lavori delle surrealiste Leonora Carrington, Remedios Varo, Ithell Colquhoun, Dora Maar, Dorothea Tanning, oltre che del giapponese Tatsuo Ikeda e del messicano Rufino Tamayo. Per un’esplorazione a tutto tondo su quello che è stato il movimento negli anni di sua massima affermazione.
«L’ultima mostra sul Surrealismo al Centre Pompidou risale al 2002, ma si trattava di un’esposizione cronologica che riguardava la prima metà della storia del movimento, dal 1924 agli anni ’40. Aveva inoltre un approccio molto maschile ed europeo», spiega Marie Sarré, co-curatrice della mostra insieme a Didier Ottinger, vicedirettore del museo. La rassegna di oggi abbraccia invece «il movimento nella sua globalità, ovvero sino alla fine degli anni ’60”. Con uno sguardo particolare rivolto al ruolo delle donne. «La storia dell’arte ha escluso per tanto tempo le artiste che invece sono state parte integrante del movimento surrealista – prosegue Sarré. – Proponiamo quindi una mostra molto femminile, tenendo conto anche degli studi sulle donne surrealiste portati avanti due anni fa dal Musée de Montmartre, a Parigi, e delle recenti ricerche svolte nel mondo anglosassone sul ruolo delle artiste nel Surrealismo.
Consideriamo inoltre anche la dimensione internazionale del movimento, che si è diffuso non solo in Europa e negli Stati Uniti, ma anche nel Maghreb, in Cina, Giappone e America del Sud. Beneficiamo oggi dei formidabili studi portati avanti dal Metropolitan di New York e dalla Tate Modern di Londra per una mostra del 2017 che riscopriva i focolai surrealisti in Africa, India e Australia. La nostra intenzione è di avvicinarci il più possibile all’effettiva realtà del movimento». E a quanto pare, ci sono davvero riusciti.
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