Categorie: Mostre

Il tempo della vulnerabilità: Callum Innes alla Galleria Alfonso Artiaco

di - 26 Ottobre 2024

In un mondo in cui siamo indotti costantemente al consumo e all’accumulo di oggetti nel nostro vivere quotidiano, Callum Innes (Edimburgo, 1962) con la sua arte cerca di scavare nei meandri dell’interiorità umana, attraverso un’operazione di rimozione e sottrazione. Darker than blue è la prima mostra personale dell’artista scozzese alla Galleria Alfonso Artiaco di Napoli, per la quale ha prodotto 13 nuovi dipinti e otto opere su carta.

Durante il percorso mostra vengono presentati dipinti appartenenti a serie differenti: in particolare gli Exposed paintings, dipinti su tela dalla forma quadrata e i Tondos, dipinti circolari su tavole di legno dei quali troviamo una variante nell’ultima sala espositiva, denominata Untitled Shellac N.1 poiché realizzata con gocce di gommalacca. Risulta emblematica la scelta della forma quadrata e di quella circolare.

Callum Innes, veduta della mostra, Galleria Alfonso Artiaco, Napoli, 2024

I quattro lati del quadrato rivestono molteplici significati che affondano le radici nella nostra cultura: simboleggiano le quattro stagioni e gli elementi naturali ovvero fuoco, acqua, terra, aria. Il cerchio invece da sempre è simbolo della terra, della circolarità della vita e del tempo, un argomento riproposto costantemente nella storia della filosofia così come in quella dell’arte e che è un punto centrale nella poetica di Innes. Le due figure sono in perfetta comunione fra di loro in quanto il quadrato è la figura che può essere iscritta in un cerchio, stabilendo così un’innegabile compenetrazione concettuale e scientifica.

Callum Innes, veduta della mostra, Galleria Alfonso Artiaco, Napoli, 2024

La prima serie, gli Exposed paintings, rappresenta la tipologia di opere più longeva dell’artista, risalente agli anni ‘80. Alla base della pratica di Innes troviamo quindi il tempo, che viene inteso dall’artista non solo come il lasso temporale impiegato per dipingere ma come tempo necessario alla preparazione della tela, come applicazione delle pennellate di colore, il tempo necessario alla trementina per dissolvere il colore a olio, il tempo in cui la parte esposta rivelerà cosa si cela al di sotto. L’artista ripropone un processo fatto proprio nel corso degli anni, in cui impiega molto tempo a rimuovere, tramite il solvente, gli strati di colore che ha applicato in una porzione del quadro. I dipinti quindi si rivelano nella loro casualità, attraverso un processo di rimozione da parte dell’artista ripetuto nel tempo.

Callum Innes, veduta della mostra, Galleria Alfonso Artiaco, Napoli, 2024

Sempre in questo ambito, Innes mette il suo approccio in relazione alla fotografia. Infatti proprio il termine exposed si riferisce alla pratica fotografica e al fatto che verrà rivelata un’immagine, come avviene per una foto una volta che è stata sviluppata: dall’immagine latente presente sul supporto fotografico, tramite l’azione della chimica in camera oscura, i sali d’argento impressionati mostreranno la foto. Allo stesso modo, grazie all’azione del solvente, emergono i pigmenti del dipinto sottostanti e viene rivelato il dipinto in tutte le sue fragilità. Viene così distrutta una parte del dipinto per rivelare la vulnerabilità del lavoro, come se l’artista stesso si stesse mettendo a nudo.

Callum Innes, veduta della mostra, Galleria Alfonso Artiaco, Napoli, 2024

Per quanto riguarda invece la tipologia di tele Tondos, è evidente il riferimento alla pittura italiana. Infatti il termine inglese per definire il cerchio sarebbe round ma l’artista si rifà al termine italiano in riferimento ai dipinti rinascimentali come il Tondo Doni di Michelangelo, la Madonna della Melagrana di Botticelli o, più tardi, la Medusa di Caravaggio.

L’assetto circolare, secondo l’artista, sembra coprire una porzione più ampia della parete, dando la percezione di maggiore estensione e questa sensazione è supportata anche dalla presenza, nelle sue tavole di legno, degli angoli smussati. L’opera assurge a portale verso un’altra dimensione, mettendo in comunicazione l’opera con il pubblico che osserva.

Callum Innes, veduta della mostra, Galleria Alfonso Artiaco, Napoli, 2024

Oltre all’aspetto concettuale, i dipinti di Innes vivono di contraddizioni a livello strutturale e formale. All’apparenza i dipinti ci appaiono nella loro perfezione ma scavando notiamo che presentano delle contraddizioni intrinseche. Infatti come ammette l’artista, le tele quadrate non sono mai propriamente quadrate in quanto uno dei lati è sempre leggermente più lungo dell’altro così come il “tondo” non è mai perfettamente un cerchio poiché è leggermente schiacciato e quindi assume una forma ovale.

Callum Innes, veduta della mostra, Galleria Alfonso Artiaco, Napoli, 2024

A occhio nudo però lo spettatore non può accorgersi di queste sproporzioni, a simboleggiare la presenza di una contraddittorietà umana nascosta ma presente in tutti noi. Oltre la contraddizione formale, vi è anche una contraddizione esecutiva in quanto all’interno dell’Exposed paintings vi è sempre una porzione di quadro in cui le pennellate assumono un andamento verticale mentre in un’altra area le pennellate cambiano repentinamente e risultano perfettamente ortogonali alle altre in quanto il colore viene steso o rimosso con la trementina orizzontalmente. Ancora più evidente è la pennellata perfettamente lineare realizzata nei Tondos: invece di seguire l’andamento circolare della tavola di legno, Innes si attiene sempre alla pennellata verticale o orizzontale. Riunisce quindi degli aspetti geometrici agli antipodi: la linea retta con il cerchio.

Callum Innes, veduta della mostra, Galleria Alfonso Artiaco, Napoli, 2024

Callum Innes ha studiato disegno e pittura presso la Gray’s School of Art dal 1980 al 1984 e ha conseguito una laurea specialistica all’Endinburgh College of Art nel 1985. Candidato al Turner Prize nel 1995 – l’edizione che fu vinta da Damien Hirst – le sue opere fanno parte di collezioni di musei come il Fort Worth Museum of Modern Art, la Tate e il British Museum di Londra, il SFMOMA – San Francisco Museum of Modern Art, il Centre Pompidou di Parigi e il Philadelphia Museum of Art. L’artista confessa di essere ancora soddisfatto del fatto che, talvolta, lo spettatore non riesca a comprendere appieno il processo che ha portato alla realizzazione del dipinto finale, a voler mantenere un’aura di mistero attorno alle sue opere.

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