01 febbraio 2025

Il tempo, l’arte, la materia che si deteriora: i maestri dell’irriverenza Gelitin/Gelatin si raccontano

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Riflessioni e ossessioni del gruppo viennese che nell’ambito della programmazione da FOROF, a Roma, ha celebrato i suoi vent’anni di carriera

5. episodio, Gelitin/Gelatin, ritratto I Like My Job Five, ph Christoph Harringer, Courtesy Gelitin

Quello che si respira da FOROF nel palazzo Roccagiovine ai Fori Imperiali è un perfetto connubio tra archeologia e presente, “libertà”. La libertà della sua fondatrice Giovanna Caruso Fendi di affiancare, mescolare e fondere stili e realtà artistiche solo apparentemente distanti tra loro. Una libertà che racchiude l’essenza di Roma città eterna, proteggendone la storia antica – come i marmi policromi della pavimentazione della Basilica Ulpia e i resti dell’abside orientale del II secolo d.C. – e ospitare arte performativa priva di filtri, schemi e pregiudizi. La libertà del curatore Bartolomeo Pietromarchi nel proporre Nimbus Limbus Omnibus che riecheggia il rito di liberazione degli schiavi nell’antica Roma, celebrato proprio nell’abside della Basilica Ulpia, attraverso una nuova forma contemporanea di azionismo da parte del gruppo viennese Gelitin/Gelatin, curando un percorso che, grazie alle loro opere, diventa una scultura performativa che si sviluppa nel viaggio della storia, tra i resti della Basilica e l’antologia creativa di 25 anni di carriera dal sapore dadaista.

Presenti all’appuntamento, due dei quattro componenti Geltin/Gelatin: Ali Janka e Florian Reither, altissimi, dinoccolati, imprevedibili, disponibili a risponde e ribaltare domande e certezze.

Preferite definirvi non “collettivo” ma “organismo”. Una moltitudine di soggetti, realtà e individualità che, solo insieme danno vita a qualcosa di artisticamente valido. Ho letto che separatamente non vi sentite artisti, ma che solo con il lavoro comune acquisite questa identità. Quanto siete diversi singolarmente e quanto riuscite a fondervi e a plasmarvi arrivando ad essere un unico “organismo”?

«Siamo parte di quello che ci circonda e prendiamo le emozioni dalle persone vicine. Ognuno di noi è più complesso di quello che sembra, quindi, non siamo tutti uguali ma ci arrivano diverse emozioni con il contatto delle emozioni altrui. Non vogliamo conoscerci, fonderci e confonderci tra di noi, non sappiamo mai cosa pensano i membri del nostro “organismo”».

Cioè?

«Io non conosco lui fino in fondo e lui non conosce me. Ognuno è e pensa in modo diverso, ma facciamo parte di un insieme e la nostra diversità è un dono. Ognuno ha le sue stranezze ed è interessante relazionarsi in modo differente a seconda delle differenze individuali».

Quando vi siete incontrati la prima volta?

«La nostra avventura artistica è iniziata 1993 in cui eravamo tutti e quattro sullo stesso aereo. Ed è stato facile e naturale iniziare a sperimentare insieme».

Da cosa nasce il vostro nome? Gelitin o Gelatin è stato un inciampo, un refuso un errore di un timbro a cui la corretta trascrizione era sfuggita, ma voi l’avete colto al volo. Fate del caso la vostra forza?

«Noi eravamo conosciuti come Gelatin, Gelitin… è stato un errore in Corea del Sud quando abbiamo chiesto di scrivere con dei segni la parola gelatina, con le indicazioni avute abbiamo prodotto un timbro. Tornando a Vienna, un nostro amico coreano ci ha fatto capire l’errore ma abbiamo lo stesso deciso di adottarlo per identificarci. Ci siamo chiesti: perché buttare timbro e lavoro? Da allora abbiamo due nomi, o se preferisci un nome lungo».

(installation_view_GELITIN_GELATIN_Nimbus_Limbus_Omnibus_FOROF_ph_MonkeysVideoLab_(c)The Artists_MASSIMODECARLO)

Avete detto che la buona arte è sempre politica e le migliori idee nascono dalla noia e dalla tensione.

«In un film che abbiamo visto, le scimmie indossavano un turbante in testa. Apparivano stupide, ma chi le guardava doveva interpretarne i gesti, le movenze e le azioni: noi ci siamo ispirati a questo. La nostra arte è questo, un’interpretazione, una riflessione. Vogliamo dare un senso, una morale a quello che produciamo anche se appare folle. Ho letto un articolo riguardo ai politici… mi chiedo come i politici possano essere così folli. La politica stessa è incredibile folle! Ci chiedi quale è il motore che ispira la nostra arte? La risposta è semplice: fare arte».

Per FOROF vi siete lasciati ispirare dalla storia, dal luogo. Con Nimbus Limbus Omnibus avete rievocato un’antica formula, il rituale della manumissio, liberazione degli schiavi di Roma, attualizzandolo, ponendo l’attenzione al tema della liberazione personale (omnibus) allo “stato di passaggio”. La transizione, il non finito è presente nel vostro percorso.

«Abbiamo evocato delle parole antiche ma attuali. Limbus è presente in tantissimi altri contesti. Limbus come il ballo limbo, come il gioco della roulette, e così via. Non parole arcaiche ma comprensibili e usabili, assolutamente moderne, non sono in latino antico ma che tutti possono capire. Siamo nel Foro Romano e questo può essere un luogo moderno».

1. episodio, Gelitin/Gelatin, Hase / Rabbit / Coniglio 2005, ph Christoph Harringer

Cosa vi piace in particolare?

«È un bellissimo luogo che permette di entrare nella profondità della storia, grazie al quale si accede a un mondo diverso. È un piacere collaborare con Giovanna Caruso Fendi».

Il pubblico, diventa spesso co-creatore e anche distruttore delle vostre opere. Da FOROF gli avete chiesto di indossare costumi raffiguranti nudità, per meglio connettersi con la vostra opera della “Cacca”, in cui l’escremento, considerata la prima opera che l’uomo produce, è privo di tabù e negatività da mascherare per pudore o riservatezza. Al visitatore chiedete, dunque, molto. Come lo ripagate?

«A New York durante una nostra mostra, un’opera cadeva e gli spettatori erano invitati a risollevarla e riposizionarla. Lo spettatore veniva coinvolto in questo.
A noi piace che il visitatore venga coinvolto, che possa toccare l’opera, che sia parte di essa. Solo così potrà avere un’emozione completa. Abbiamo realizzato dei costumi da far indossare al visitatore, permettendogli di scegliere: maschile, femminile o altro, sceglieva il colore, la forma. Solo dopo aver indossato la tuta era pronto per relazionarsi agli altri. Con la nudità si è tutti diversi e non uguali e si annulla quello che si è come genere o stile o gusto, per indossare “la pelle” di qualcun altro. Noi non chiediamo nulla allo spettatore, cerchiamo solo di creare una situazione che possa alimentare un’emozione e una riflessione».

(installation_view_GELITIN_GELATIN_Nimbus_Limbus_Omnibus_FOROF_ph_MonkeysVideoLab_(c)The Artists_MASSIMODECARLO)

Avete diviso la mostra in due parti: una che rievoca le catacombe con tanti oggetti che testimoniano la vostra storia artistica di 25 anni di carriera e l’altro silenzioso, quasi mistico, in cui grandi sculture dialogano con i resti della Basilica di Ulpia. In questi grandi busti non vi sono volti, ma nuche che si riflettono uno sull’altro per una visione dei tempi moderni, tra incomunicabilità e isolamento. Vi sono altri significati da cogliere?

«Nella prima parte vi sono i nostri lavori, gli esperimenti, i tasselli del nostro viaggio artistico. Mentre nella seconda parte le sculture parlano la loro lingua e fanno una sorta di mediazione dando un’indicazione, ma il significato è soggettivo e sarà diverso da persona a persona, da momento a momento. Girandoci attorno si troverà il significato».

Avete celebrato i 20 anni della scultura Coniglio, l’arte che si deteriora con il tempo. Qual è il vostro rapporto con il tempo?

«La relazione tra il tempo passato e il futuro è il presente che per noi è moto più interessante. Noi pensiamo che il tempo sia acerbo. Il tempo si modifica anche in rapporto con l’età: diversa è la percezione quando si hanno 15 o 50 anni. L’opera Rabbit diventa viva attraverso la sua decadenza, pertanto ha una sua temporalità. Cambia come tutto e tutto cambia nel tempo».

Progetti futuri?

«Disegneremo tutti insieme per nuovi progetti usando anche specchi, carta e ceramiche. Saremo impegnati in un progetto al Circolo polare artico in una prigione con 40 persone».

GELITIN/GELATIN
Installation view Limbus Nimbus Omnibus
FOROF, Roma
Foto Michele Alberto Sereni per Magonza
Courtesy gli artisti e Galleria MASSIMODECARLO

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