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Il Thesaurus della Cappella Palatina come portatore di significati
Mostre
di Giulia Papa
Thesaurus è l’inestimabile tesoro della Cappella Palatina che, con i suoi preziosi manufatti esposti, ci rimanda a un tempo lontano, a una delle dominazioni che hanno attraversato la Sicilia: la dominazione Svevo-Normanna che fu fondamentale nel cammino culturale politico del Meridione. Nel momento in cui ci accingiamo a varcare la soglia della sala, come se attraversassimo un portale spazio-temporale, veniamo inconsapevolmente catapultati nel periodo svevo – normanno, iniziato verso la metà del secolo XI, anno 1042, con la costituzione del ducato di Puglia da parte dei Normanni e concluso nel 1266 con la battaglia di Benevento e la morte di Manfredi ……re di Sicilia.
È un’era che ha assistito al susseguirsi di figure di grande rilievo sul trono siciliano e non solo. Re e imperatori che decisero di eleggere la Sicilia a loro sede privilegiata in vita e a questa terra affidarono le loro spoglie per l’eterno riposo. Figure quali il primo re normanno, Ruggero II d’Altavilla, che, alla morte senza eredi del nipote Guglielmo, rivendicò il titolo di duca di Puglia e Calabria e si fece incoronare re di Sicilia dall’antipapa Anacleto II. Si formava così un regno destinato a perdurare fino al 1860. Ruggero, con la sua visione politica e il suo intelletto, favorì la convergenza in Sicilia di usi, costumi e studi geograficamente lontani dalla Sicilia.
Parliamo, dunque, di personalità che hanno avuto un significativo impatto sulla storia siciliana e, solo dopo averne capito l’entità, possiamo cogliere, decifrare e calibrare l’importanza dei reperti presentati in mostra. La scelta stessa del luogo non è casuale, siamo all’interno di quella che, dal 2015, è sito del Patrimonio dell’umanità mondiale dell’UNESCO, e che fu fortemente voluta da Ruggero II.
E con questo afflato spirituale entriamo Thesaurus. Ci accoglie prima l’ombra, e poi un uso sapiente della luce che, giocando con un effetto teatrale, illumina 56 reperti protagonisti indiscussi della mostra, dando così ai nostri occhi, e a una prima occhiata fugace già una anticipata visione di cosa ci aspetta. Ci muoviamo liberamente tra i reperti appartenenti al nucleo più antico dei tesori della Cappella Palatina. La loro antichità è attestata dal documento d’inventario più remoto di questa raccolta, risalente ai primi del Trecento, dove sono accuratamente segnalati i documenti più preziosi per la storia della Cappella stessa e un elenco dei cofanetti in avorio, già allora conservati, in un totale di ventuno. Quindici di questi ventuno sono in mostra e corrispondono a quella nota di inventario. Sono oggetti-testimonianza che compongono, nella loro unicità e unione, un vero documento della cifra culturale universale del periodo. Cofanetti, argenti raffinatissimi, pergamene, fonti battesimali, opere raffiguranti la Madonna Odigitria, gioielli appartenenti a Costanza d’Aragona, una bolla raffigurante Ruggero II, un sigillo mesopotamico trovato in uno dei cofanetti, che catapulta indietro, fino a Babilonia, al terzo millennio a.C.
Thesaurus non è l’allestimento totale del tesoro ma una selezione accurata e sapiente di studiosi e professori provenienti da tutta Italia. Come a iniziarci alla mostra, quasi come metafora del battesimo, dell’inizio di una nuova vita spirituale, come a immergerci metaforicamente in essa, vediamo l’acquasantiera di marmo con decorazioni musive risalente al XII – XIII Secolo sovrastato dalla croce patente di consacrazione con monogramma costantiniano e iscrizione. Si continua con l’esposizione di una serie di documenti in cui i nostri occhi tendono a perdersi in un’ipotetica lettura. Un documento ci colpisce: su una pergamena tinta o dipinta di porpora, il colore tipicamente imperiale che richiama i sepolcri in cui riposano gli imperatori Ruggero II e Federico II, quello che per tempo si è creduto fosse un diploma di Ruggero II, e che dopo un accurato studio si è scoperto trattasi di un documento di nomina di un titolo aulico per ringraziare un emiro del suo fedele servizio. Segue il documento della consacrazione della Regia Cappella Palatina, su pergamena porporiana con caratteri in oro, a cui segue la pergamena di elevazione a Parrocchia della Cappella Palatina risalente al 1132.
Vi è poi un nucleo di meravigliosi gioielli appartenenti al corredo funebre dell’imperatrice Costanza, prima moglie di Federico II di Svevia. Ad attirare per la sua, forse quasi scontata, maestosità è La Madonna Odigitria detta di “Guglielmo II”; una tempera su supporto ligneo, risalente alla prima metà del XIII secolo. Per questo reperto si narra che fosse addirittura il capezzale usato dallo stesso sovrano, notizia di cui non esiste, però, nessuna attestazione certa. Ciò di cui siamo certi però è la presenza in questa tempera, di elementi artistici di diversa provenienza e formazione. Come nei cofanetti, i preziosi cofanetti, che risultano interessanti soprattutto dal punto di vista tecnico, poiché sono dipinti, e non scolpiti, secondo la tecnica utilizzata all’interno dell’officina normanna e sviluppatasi forse proprio all’interno della Cappella Palatina.
Citiamo, quasi come prova, il libro di Hubert Houben in cui si testimoniano i poliedrici interessi anche di Federico II, definendo la sua corte «Una piattaforma del transfer culturale», per il suo essere luogo che vedeva riunirsi studiosi di tutti i campi e provenienti da tutte le parti del mondo, maestranze occidentali e orientali, chiamate direttamente dagli imperatori per realizzare capolavori musivi e costruzioni architettoniche destinate a rimanere nella storia. Un esempio è il cofanetto di foggia ellittica (secolo XII-XIII) unico nel suo genere per ornamentazione, che si attribuisce a maestranze siculo-islamiche. O ancora il cofanetto in avorio rettangolare, dipinto sulle sei facce con scene di caccia e santorale, risalente al XII secolo. Il tesoro sembra a questo punto voler raccontare quell’aspetto immateriale che metteva insieme maestranze di culture e prospettive religiose diverse, tanto da poter essere definito il “Tesoro delle civiltà mediterranee”.
La mostra, esattamente come afferma Patrizia Monterosso, direttore generale della Fondazione Federico II, non è didascalica ma emozionale e spirituale, infatti è possibile osservarla su più livelli: abbiamo un livello spirituale, dettato dalla sacralità e dalla regalità degli oggetti esposti; estetico, dato dalla palese bellezza e preziosità di ciò che si conserva; tecnico, poiché frutto di veri e propri laboratori artistici; ma soprattutto didattico e culturale. A tal riguardo, in seguito anche all’uso da parte della direttrice Monterosso, dell’espressione history keeper ossia custode della storia, mi piace richiamare alcuni concetti chiave esposti dalla professoressa Irene Baldriga: «L’opera d’arte, vive attraverso le nostre emozioni, la nostra memoria e l’intangibile valore che la rende irripetibile. Rappresenta cosi un bene materiale, il più prezioso per il suo carattere peculiare di unicità, che giunge a noi direttamente dalle mani dei nostri predecessori».
Tocchiamo quindi argomenti quali: la comprensione del patrimonio e della sua trasmissione, non solo come bene comune ma soprattutto come identità. In questi oggetti ci siamo noi, c’è tutto ciò che ha portato anche noi ad essere qui in questo momento a osservare la bellezza di questi 56 reperti. Reperti che sono siciliani, che sono nostri e parlano a noi della nostra storia.
In un epoca in cui tutto ormai è dettato dalla velocità, rischiamo che questa identità culturale, di cui questi oggetti e molti altri ne sono testimonianza, vadano perduti. Ci ritroviamo così a riflettere non solo sul passato e sulla sua maestosità, ma anche sul presente e su ciò che oggi possa essere considerato arte o meno, e se l’arte di oggi riconosca il fascino di quella cultura. A tal proposito la Fondazione Federico II pone al visitatore questa prospettiva e lo fa attraverso l’enigmatica presenza, quasi nascosta, di due opere di Mimmo Paladino che rappresentano la cartina di tornasole: una scultura di bronzo (2018) e un quadro ottagonale (2011), entrambi di grandi dimensioni ed entrambi intitolati Stupor Mundi. Il fascino di quella cultura esercita forse ancora oggi, un forte impulso atemporale, al punto da stimolare uno dei più grandi artisti internazionali contemporanei. Assistiamo a una mostra che guardando indietro ci proietta anche al futuro, nella speranza di poter coinvolgere, attraverso questa grande bellezza, e ispirare il senso civico proprio come si sviluppava il pensiero di Ruggero II.
ESTREMAMENTE DELUSO DELL’ALLESTIMENTO DELLA MOSTRA.
UNA RACCOLTA DI CAPOLAVORI DI INESTIMABILE BELLEZZA . . . . . . SE PERO’ SI POTESSERO VEDERE . IL RESPONSABILE DELLA MOSTRA DOVREBBE ESSERE IMMEDIATAMENTE TRASFERITO AD ALTRO INCARICO TIPO ” PRESIDENTE ASSOCIAZIONE NON VEDENTI ” . MA COME E’ PENSABILE CHE , NON SOLO IO MA DECINE DI ALTRI VISITATORI , PER POTER VEDERE LA MAGGIOR PARTE DI QUESTI CAPOLAVORI O LEGGERE LE SINGOLE DIDASCALIE, SIAMO STATI COSTRETTI A FARCI LUCE , CIASCUNO CON I PROPRI TELEFONI CELLULARI ? ? ? ? . E’ VERGOGNOSO , CONSIDERANDO IL GIUSTO COSTO DEL BIGLIETTO , NON POTER VEDERE LE MERAVIGLIE ESPOSTE . LA BELLEZZA VA ESALTATA , METTENDO IN RISALTO ANCHE I PIU’ PICCOLI DETTAGLI DELLE OPERE D’ARTE ESPOSTE; L’APPOSIZIONE DI ULTERIORI PUNTI LUCE RENDEREBBERO MERITO A QUESTO ENESTIMABILE PATRIMONIO , COME ANCHE BEN EVIDENTE DALLE STESSE FOTO QUI PUBBLICATE. PREGO CHIUNQUE LEGGA QUESTO MIO COMMENTO DI DARNE GIUSTO SEGUITO , TRASFERENDO LA PRESENTE A CHI DI COMPETENZA. QUESTI NOSTRI CAPOLAVORI ARTISTICI DOBBIAMO ESALTARLI E DARGLI LA GIUSTA ” LUCE ” .
IN ATTESA DI UN VOSTRO RISCONTRO PORGO I MIEI PIU’ FERVIDI COMPLIMENTI PER TUTTA LA RESTANTE ORGANIZZAZIONE