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Il Tour de France di Robert Capa e altri fotografi della Magnum, a Spilimbergo
Mostre
In questo 2024, numerose occasioni e anniversari caricano di significato la mostra fotografica inaugurata a Palazzo Tadea dal CRAF. A giugno, il Grand Départ del Tour de France si è tenuto in via eccezionale in una tanto accaldata quanto calorosa Firenze. Tale decisione ha avuto l’intenzione di omaggiare i corridori italiani che hanno fatto la storia di questo sport, ma anche il proposito di celebrare il centenario della memorabile vittoria di Ottavio Bottecchia, il primo ciclista italiano a conquistare il trofeo della Grande Boucle. Si intreccia con questi due fatti sportivi il settantesimo anniversario della morte del rinomato fotoreporter ungherese Robert Capa, il quale è stato tra i fondatori, nel 1947, della Magnum Photos, un’agenzia fotografica costituita al fine di tutelare il lavoro e la narrazione degli eventi prodotti dai fotogiornalisti.
È certo ben conosciuto l’impegno di Capa nel reportage di guerra, per cui perse la vita, poco più che quarantenne, durante una campagna fotografica in Indocina. Meno ricordato, invece, è il suo reportage per la rivista francese Match in occasione del Tour de France nella sua tredicesima edizione del 1939, un appuntamento particolare dato il veto espresso da paesi come l’Italia e la Germania alla partecipazione di numerosi atleti, tra i quali anche Gino Bartali, vincitore in carica.
Vista la natura di tale incarico, ci si aspetterebbe di vedere esposte immagini raiguranti gli atleti intenti a compiere faticosi stacchi o incredibili volate. Tuttavia, ciò che Capa decise di immortalare, riorientando la direzione del suo obiettivo, fu tutto quello che attorno a tale competizione si verifica sin dalla sua prima edizione. Il mito creatosi attorno alla famosa corsa ciclistica che attraversa l’intera nazione francese da più di cent’anni incuriosisce ed emoziona un variegato pubblico di adulti e bambini lasciandoli prima col fiato sospeso nell’attesa del fugace passaggio dei corridori e poi con un sorriso sul volto quando la carovana è transitata. Non solo il pubblico eccitato, ma anche il personale tecnico impegnato nella competizione o il riposo degli atleti al termine della tappa sono aspetti della corsa cui Capa s’interessò. Rituali, pratiche, emozioni che non appartengono direttamente alla gara, ma che con essa sviluppano un rapporto di reciproca influenza, un movimento dialettico che spinge e continuerà a spingere gli appassionati sul ciglio della strada per sentirsi parte di questo eccitante universo sportivo.
Quindici anni più tardi, nel 1954, in mezzo al pubblico estasiato per il passaggio del Tour in Bretagna, si sarebbe trovato anche il giovanissimo Guy Le Querrec, di soli tredici anni. Qui, il fotografo realizzò quelli che si può ben credere essere i suoi primi scatti amatoriali della competizione e sicuramente non i soli. La sua duratura passione per le due ruote si manifestò nuovamente nelle fotografie degli allenamenti invernali del team Renault e del campionato di ciclocross del 1985, in cui fatica, fango e sudore non sembrano in grado di estinguere la determinazione degli atleti in gara.
Robert Capa non fu il solo a guardare oltre la competizione ciclistica; le foto del Tour del 1982 di Harry Gruyaert immortalano scenari alle volte bizzarri, come un ricco pic-nic organizzato a bordo strada nell’attesa del passaggio delle squadre o la colonna di ciclisti stesi a terra attendendo le trattative degli organizzatori della gara con gli agricoltori in protesta per far spostare i trattori dalla carreggiata. La sua particolare attenzione alla carica espressionista veicolata da un peculiare uso dei colori fa sì che suoi scatti, estremamente studiati, sembrino usciti da un set cinematografico. Di certo, la sua attenzione al medium televisivo si era già manifestata negli interessanti fermo immagine che Gruyaert catturò durante le gare dei giochi olimpici del 1972 e che è possibile ammirare in esposizione.
Tra i vari aspetti legati al mondo della bicicletta, la mostra fa i conti anche con le oscurità che si celano dietro a tale sport. Gli scatti di Christopher Anderson presenti in esposizione si concentrano su un’unica figura controversa, quella del connazionale Lance Armstrong. La sua storia fatta di tante vittorie, non solo sportive, ha visto proprio nel 2004 l’inizio di una lunga inchiesta sul suo uso di sostanze dopanti che ha portato alla revoca dei sette trofei vinti al Tour de France. Proprio lo stesso anno in cui, dopo mesi di trattative, il ciclista concesse al reporter di testimoniare una dimensione nascosta, privata della sua vita in cui sarebbe apparso come un uomo, un semplice uomo.