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“Il vero oltre il visibile” di Fiorella Rizzo
Mostre
«Penso in anni luce e agisco in secondi». Così recita la più piccola delle opere di Fiorella Rizzo ma anche una delle più intense sul piano gnoseologico. Su una cartolina spedita da Firenze ai genitori alla metà degli anni Settanta ritraente la mano del David di Michelangelo, l’artista ha vergato di suo pugno quella scritta.
Una riflessione sull’impresa dell’eroe biblico, che con il pensiero ha sconfitto la brutalità animale di Golia così come una considerazione sulle potenzialità della mano che accoglie le intuizioni e le rende reali, ma è anche una dichiarazione di poetica, un omaggio a Michelangelo, il genio universale, nella cui opera Fiorella Rizzo legge il destino di tutti gli artisti, impegnati a ragionare sull’universale e a tradurlo nei tempi ristretti dell’esecuzione materiale, ma anche a trasferire l’incommensurabile nelle dimensioni finite e necessariamente contenute della realizzazione concreta. È un’opera del 1976 e già appare chiaro il modus operandi dell’artista, improntato al ready made duchampiano e ad una ricerca eminentemente concettuale. Coordinate rintracciabili anche in Dico anche immortalità dell’opera dell’anno successivo, opera equivalente alla precedente per modalità attuativa e pregnanza speculativa.
Proseguendo sulla via della folgorazione generata dalle opere dei maestri antichi, l’artista si confronta con Melancholia I (1514) di Albert Durer. Incisione carica di mistero, ricca di simboli, emblema del sapere alchemico, vero e proprio enigma visivo a cui l’artista sovrappone la sua risoluzione. Vi compare la sfera, simbolo della conoscenza, che Fiorella Rizzo sostituisce con la sua, trasparente e gravida del seme di grano, simbolo di vitalità e ciclica rigenerazione. Il seme è un transfer simbolico dell’eterno ritorno della vita e dell’immortalità dell’arte. Riflettendo su concetti universali, l’autrice suggerisce all’osservatore – immedesimato nella figura, angelica e androgina, che osserva la sfera – di ripartire dalla natura.
Da questi lavori, presentati per la prima volta nella personale del 1977 alla Galleria Centrosei di Bari, prolifico spazio espositivo fondato e gestito da Franca Maranò e Nicola De Bendictis, parte l’antologica “Il vero oltre il visibile”, a cura di Christine Farese Sperken e Anna Gambatesa, allestita fino al 18 giugno nella Sala Giuseppina del Teatro Kursaal di Bari. Un felice ritorno in città per l’artista, leccese di nascita ma romana d’adozione, che fatta eccezione per la partecipazione ad “Arte&Maggio”, storica rassegna organizzata nel 1998 all’Arena della Vittoria da Marilena Bonomo (vi prese parte con l’opera Scatola nera), mancava di esporre nel capoluogo da quel 1977, oltre quarant’anni orsono.
Nella nuova mostra, fin dalla riflessione dureriana, si dischiude al visitatore il pensiero dell’artista, che all’opera d’arte guarda da sempre come unica possibilità per l’uomo di agguantare l’inafferrabile, di rendere tangibile l’intangibile, di convertire l’impossibile in possibile, di dare forma concreta a ciò che fenomenicamente non ce l’ha. La sfera trasparente, contenente il seme della vita o testi allusivi della sapienza, è elemento ricorrente nella sua ricerca dagli anni Settanta, ricomparendo in più opere, fino ad oggi, inserita nel percorso attuale ingigantita nelle dimensioni, a testimoniare la maturità dell’artista e l’acquisizione di molte consapevolezze.
Formatasi presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce, nel corso di Decorazione (quello di Scultura sarebbe stata scelta troppo ardita per una donna) Fiorella Rizzo lascia il Salento nel 1974 per trasferirsi a Roma, dove tutt’oggi vive e lavora, interrogando le questioni chiave dell’esistenza e sondando le possibilità espressive di materiali eterogenei, che sistematicamente adopera sfidandone i limiti fisici o dissimulandone natura e parvenze. Polistirolo che si tramuta in piombo, boe che divengono ordigni, il vuoto che si traduce in fascio di luce, vetro che simula lacrime, un uovo che si mantiene integro tra due pesanti piedi di porco, la scrittura che sfida la superficie, scatole che rinunciano al volume per farsi supporti bidimensionali, sono solo alcuni degli ossimori visivi proposti dall’artista allo spettatore, a cui suggerisce di procedere al di là della visione interrogandosi sui molteplici quesiti di cui è costellata l’esistenza. Nel suo operare ciò che sembra non è e ciò che è non sembra, in un rincorrersi continuo tra pensiero e materia, idea e forma. Le convenzioni d’altronde le sono sempre state strette. Artista controcorrente, Fiorella Rizzo è da sempre immune al sentire comune e alle mode correnti, lo è stata ieri, quando da donna sola si è trasferita nella capitale inserendosi in un’enclave composta da soli artisti uomini, e lo è oggi, quando è tra le poche artiste che si rifiuta di partecipare a mostre al femminile, riconoscendo nella separazione autoimposta un disvalore.
Nella circolarità del nuovo percorso espositivo le opere, quasi tutte di carattere installativo, si propongono nella loro importante valenza concettuale senza sottostare a nessuna disposizione cronologica, rivelando un cammino creativo che dal 1976 passa al 2019 senza nulla cedere in termini di vitalità e coerenza. Da Naulo del 1991 e Linea di fuga del 1993, esposti, come altri lavori presenti a Bari, alla personale al Museo Bilotti di Roma nel 2013, fino al più recente ed inedito Passaggio pedonale del 2019, Fiorella Rizzo si rivela artista visionaria e prolifica, capace di dare forma concreta all’invisibile mediante un linguaggio tanto essenziale quanto personale, in cui non di rado entrano elementi di novità, sempre rispondenti alle sue necessità di ricerca. È il caso del gancio da macelleria, assunto ad oggetto misterico dalle parvenze antropomorfe, o della scrittura, resa nella sua valenza segnica e gestuale a scapito della leggibilità del messaggio (Diario del 2011-2013 o Libreria del 2018). Ancor più emblematica per la sua singolarità espressiva all’interno della ricerca dell’artista è Kaleidoscope del 2000-2002, ciclo fotografico realizzato nella metropolitana di Londra quasi a conclusione del suo decennio londinese (1994-2003). Un’opera in cui l’artista mette in scena una visione caleidoscopica della realtà rivelando la polimorfia e l’instabilità dell’immagine e il perenne inganno della visione.
Quarant’anni di ricerca in cui l’artista unisce tempo e spazio in lavori al contempo problematici e suggestivi. In un tracciato espositivo dominato dal bianco, dal nero, dall’argento e dall’oro emerge con forza Per guardare il cielo lavoro del 1981 realizzato con la terra rossa del Salento, materiale rievocativo dei luoghi natii che connota la sua ricerca per l’intero decennio. Negli anni Ottanta l’indagine dell’artista si fa memoriale, a tratti crudele, toccando uno dei suoi vertici con Genetliaco, installazione ambientale composta da dodici teste su cui è conficcata un’ascia, opera del 1982 tanto discrepante da turbare Tommaso Trini e indurlo a non esporla alla Biennale di Venezia di quello stesso anno.
Quelli di Fiorella Rizzo sono lavori che con la loro essenzialità, la loro assolutezza formale e speculativa, s’impongono senza stridori nell’elegante sala coronata dai dipinti murali d’inizio Novecento di Mario Prayer (Torino 1887-Roma 1959), soavi e leggiadri, rievocativi di un vivere sereno, in evidente contrapposizione alla gravità dell’essere e all’ambiguità del pensiero proposte dell’artista.
Integrano il percorso espositivo, composto da circa quaranta lavori, l’intervista e il video dedicati all’artista dal videomaker Francesco Castellani. La mostra, promossa dalla Regione Puglia e dalla Fondazione Pino Pascali, si colloca all’interno della ricerca da tempo intrapresa sull’arte in Puglia dal secondo Novecento ai giorni nostri da Christine Farese Sperken e dalla Galleria Misia Arte, nell’intento di valorizzare il contributo significativo delle artiste al processo di costruzione di un legame identitario con il territorio.
Arte e scienza vivono in sintonia, affrontando problematiche comuni: la distinzione tra reale e virtuale. le opere d’arte del nostro tempo cercano il significato del reale spingendosi oltre, abbracciando l’invisibile. esperienze immersive testimoniano un mondo fatto di relazioni, senza le quali il mondo non potrebbe esistere. siamo in quanto ci confrontiamo con ciò che ci circonda; il soggetto incontra l’oggetto in un continuo interscambio. adottiamo prospettive sempre differenti per risolvere le problematiche che si presentano sulla nostra strada. questo ci suggerisce l’esistenza di Universi molteplici e paralleli al nostro. il visibile lascia spazio all’invisibile, il reale al mitologico, al leggendario. le chiavi di lettura del luogo e del tempo in cui viviamo mostrano che tutto si può ribaltare. l’arte é un processo in continua evoluzione che può anche ritornare su se stessa divenendo reversibile. non ci resta che affidarci alle nostre capacità interpretative….