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In mostra al Castello di Miradolo la meraviglia degli erbari d’autore
Mostre
Fino al prossimo 22 giugno, nella cornice storica del Castello di Miradolo di San Secondo di Pinerolo, è possibile visitare la mostra Di erbe e di fiori. Erbari d’autore da Besler a Penone, da De Pisis a Cage.

La mostra, curata da Fondazione Cosso e da Roberto Galimberti, con la consulenza iconografica di Enrica Melossi, si presenta come una riflessione, insieme poetica e storicamente precisa, sull’uso di raccogliere piante, erbe e fiori in quei cataloghi tra magia, scienza e incanto, che sono gli erbari.

L’erbario si configura infatti, da sempre, come un’attenta ricerca e catalogazione scientifica e insieme come osservazione disinteressata e poetica del mistero della natura. Erbe e fiori sono conservati, archiviati e curati nelle loro denominazioni e caratteristiche, ma il lavoro paziente non ha l’intento di afferrare la natura, prendendone possesso e risolvendone il mistero in una spiegazione. Si tratta piuttosto di prendere atto della sua presenza e crescita fiorile, favorendone la percezione e la memoria, tra meraviglia e rispettosa cura. L’erbario è qualcosa di effimero, delicato, che ambisce alla conservazione di una memoria naturale, ma che, pure, è esso stesso di difficile conservazione. È una raccolta poetica di tracce naturali, che spesso narrano storie.

La mostra al Castello di Miradolo è ancora più interessante, proprio in virtù della splendida location che la ospita, e perché concepita come dialogo vivente con il parco storico, pazientemente ricostruito, negli anni, sulla falsa riga dell’antico progetto originario. Le piante conservate all’interno degli erbari artistici e storici in mostra fanno così eco, a volte per affinità, altre per differenza, con quelle viventi che circondano il Castello e animano il parco.

Le opere in mostra vanno dagli erbari storici di Carlo Allioni, Basilius Bessler, Carlo Lupo, Pierre Elouard Rostan, Camillo Sbarbaro, Ada e Alfonso Sella; a opere d’arte contemporanea di Vicenzo Agnetti, Bjoern Braun, Chiara Camoni, Adelaide Cioni, Betty Danon, Filippo de Pisis, Piero Gilardi, Giorgio Griffa, Wolfgang Laib, Ugo La Pietra, Christiane Loehr, Mario Merz, Helen Mirra, Richard Nonas, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Robin Rohde, Thomas Schuette, Alessandra Spranzi e Michele Zaza.

Se Penone opera una sorta di frottage di erbe e piccoli elementi naturali e Merz li codifica e decifra nelle loro forme e proporzioni secondo il codice di Fibonacci, Ugo La Pietra fissa la memoria della natura in libri destinati a restare aperti. Richard Long crea un giardino fatto di forme geometriche di metallo e di pietra, che risuona come una sorta di doppio del parco esterno, mentre Camoni propone, su un imponente tavolo di legno preesistente, una teoria di fogli di porcellana smaltata, su cui sono state impresse a fuoco le tracce delicate ed effimere di fiori e piante.

Laib, ex appartenente al clero cattolico, scivolando tra il credo Valdese e suggestioni buddiste, raccoglie il polline dei fiori, mentre Betty Danon evoca le fioriture canore, sul pentagramma, con veri fiori. Non mancano le Photo Graffie di Agnetti, scure, e opere meno note di De Pisis in cui i tratti delicati evocano sottili fili d’erba. E se le geometrie e ambigue prospettive di Paolini, tra oriente ed occidente, danno forma allo spazio, le memorie tragiche della Grande Guerra di Lupo fanno da contraltare allo snocciolarsi poetico di imprevedibili piccoli fiori fissati su fogli di carta e poi inviati per lettera alla fidanzata. La mostra si chiude nella ex cappella di San Giovanni Battista, ancora affrescata con le storie del santo, con il video di Rohde, dove la coltivazione e il raccolto sono resi da elementi pittorici e teatrali sapientemente montati. Il tema del video richiama, in un gioco di rimandi ora tragici ora poetici, quelli degli affreschi presenti nello spazio espositivo: l’acqua, l’atto del tagliare.

Infine, la mostra si completa con l’installazione sonora di John Cage In a landscape, del 1948, che accompagna il visitatore lungo tutto il percorso espositivo. Si tratta di una partitura suonata due volte, da due pianisti diversi, contemporaneamente e con inevitabili differenze di tempo e di suono, che noi ascoltiamo grazie alla rilettura di Avant-dernère Pensée. Ma scopriamo anche che Cage fu, oltre che musicista geniale, un appassionato micologo, tanto da partecipare – curiosità – a un Lascia o Raddoppia? nel 1959. E viene fuori, addirittura, che il modo in cui Cage componeva la musica era in parte ispirato a quello in cui la natura forma i funghi ai piedi degli alberi, quando il tempo si fa umido. Le assonanze tra arte e natura si mostrano, così, più numerose e dense di conseguenze di quanto non ci saremmo aspettati. E gli erbari si rivelano essere piccoli, meravigliosi oggetti pieni zeppi di poesia, frutto della cura e della pazienza di coloro che sanno porsi in ascolto delle piccole e grandi meraviglie della vita naturale.