Fino al 6 marzo 2024, a Napoli, nella galleria Framearsartes al corso Vittorio Emanuele 525, è visitabile la mostra Incisioni…naturalmente. A cura di Brunello Nardone, con testi critici di Rita Alessandra Fusco e Gaetano Romano, l’esposizione presenta figure o paesaggi naturali, di proporzioni modeste, incise da Vittorio Avella, nolano, incisore e stampatore dall’esperienza pluridecennale. Ma a che servono le incisioni? Se la tecnica incisoria, un tempo necessaria alla ripresa del vero, è stata ormai superata da più precisi mezzi tecnici: fotografie e film ma anche ologrammi e realtà virtuale.
«Le incisioni oggi sono espressioni del gusto dell’artista incisore, amante di quel colore particolare, oppure di quella espressiva sfumatura che soltanto lui, con la sua perizia, riesce a rendere», ci ha detto, illustrando la mostra, il professore Domentico Natale, anche lui esperto di incisioni, che ci suggerisce che è stata l’invenzione della stampa a caratteri mobili, a opera di Johannes Gutenberg (1400-1468), a dare inizio alla lunga storia dell’arte incisoria.
In proposito, possiamo anche ricordare la ricchezza del mondo bibliografico napoletano. E possiamo aggiungere che, nutrendosi della particolare attenzione al reale propria della cultura meridionale del XVI e XVII secolo, l’arte incisoria si affermava anche nella ritrattistica. E dimostrano grande attenzione alla fisionomia del personaggio i ritratti d’epoca di naturalisti illustri, come quelli del cosentino Bernardino Telesio (1509-1588) e del calabrese Tommaso Campanella (1568-1639). Più tardi, la produzione di stampe fu stimolata dalle documentazioni delle scoperte archeologiche di Ercolano (1738) e quelle di Pompei (1748), quando accorsero nel Regno di Napoli un gran numero di scienziati e artisti. Nel Palazzo Reale di Portici si riunivano i più valenti incisori, richiamati dal Re Carlo di Borbone dalla Francia, dove in quest’arte si era più rapidamente avanzati.
È appunto nel Settecento che nasceva il desiderio di conoscere con razionale precisione il mondo. Quello marino, nelle sempre più attente carte nautiche. Quello terreno, del Vesuvio con le sue eruzioni. E anche quello della Corte Borbonica con le Ambascerie e i costumi stranieri di popoli diversi, che testimoniavano i contatti della capitale napoletana con il resto del mondo.
Un volume pubblicato nel 2002 dalla Biblioteca Nazionale di Napoli, intitolato La Stamperia Reale di Napoli, riporta illustrazioni degli Atti dell’Accademia Reale delle Scienze e della Regale Accademia Ercolanese, insieme a figure religiose di Santi. E vi si possono pure trovare disegni de L’uomo galleggiante. L’arte ragionata del nuoto, realizzati su richiesta del Re Ferdinando IV (1751-1825) e della consorte Maria Carolina (1752-1814), e disegni degli Studi sull’elettricità del sorcio, opera del medico pugliese Domenico Cotugno (1736-1822), che lavorò soprattutto a Napoli, dove ebbe l’incoraggiamento dei Reali e dove fondò un ospedale per curare le malattie infettive che porta ancora il suo nome. Si può anche osservare che il volume edito dalla Stamperia Reale di Napoli attesta come l’arte incisoria napoletana ormai si fosse portata al livello di quella francese. Ma, dopo la crisi avvenuta nel 1860, la sua eccellenza fu molto ridimensionata.
Però, sconosciuta ai più, già da tempo esiste a Napoli una moderna scuola incisoria. È nel rione Materdei, nell’enorme, strepitoso Palazzo seicentesco Ayerbo d’Aragona Cassano. È stata fondata da Giuseppe Morra, collezionista, già gallerista, sempre promotore e innovatore culturale. Troppo lungo elencare i suoi interventi di riqualificazione urbana attraverso l’arte. Come la Fondazione Morra nella sua sede al Museo Hermann Nitsch, per la quale una ex centralina elettrica, tutta bianca, a salita Pontecorvo, si eleva quasi a vigilare sulla città.
Nel frattempo, esce il film documentario di Pasquale Napolitano e Daniela Allocca prodotto, servendosi del crowdfunding, da Lapej Communication. Il film, intitolato Il Laboratorio, racconta di Vittorio Avella, con un tono un po’ enfatico, evidentemente ispirato dalla scrittura di Alloca, che è una poetessa, una scrittrice e un’ottima traduttrice dal tedesco. Pasquale, invece, è un docente con una cattedra all’Accademia di Belle Arti di Napoli ed è stato autore, tra l’altro, del film documentario Qualcosa resta, che ricorda il terribile terremoto dell’Irpinia del 1980, che causò 2570 morti.
Il film Il Laboratorio descrive il rapporto con il maestro Vittorio Avella, che risale agli anni della scuola, quando frequentava la sua bottega di incisore. Il suo racconto inizia dal soggiorno di Avella a Parigi, dove aveva avuto una formazione, prima all’ Ecole des Beaux Arts e poi alle stamperie di Lacouriere et Frelaut. Quando, dopo l’esperienza parigina, rientra a Nola, Avella ha un bagaglio di conoscenze tecniche riguardanti l’arte incisoria che sviluppa e mette a frutto nel suo lavoro, per specializzarsi nel mestiere di incisore stampatore.
Dunque, nel 1972 fonda a Nola la Galleria Centro Arte Incontri e poi, a Napoli, il Centro Internazionale di Grafica. Parallelamente, nel 1978, diventa segretario del locale Partito Comunista. Gli è compagno Antonio Sgambati, con cui costituisce Il Laboratorio, un centro in cui si applicano e si evolvono le tecniche della Stampa d’Arte, producendo libri d’autore, dove si coniuga il sapere artigianale con le aspirazioni artistiche dei committenti.
Nel suo ritratto fotografico, Vittorio Avella ha un’aria seria, che lo rende autorevole, mentre lo sguardo ne rivela il carattere deciso a raggiungere i propri obiettivi. Ben presto, infatti, Avella riesce ad avere successo nel lavoro ma non come artista inventore bensì come attento ed esperto esecutore dei desiderata di altri autori, italiani e stranieri, essendo tra i pochi a padroneggiare l’arte incisoria. Le sue opere sono eseguite con estrema cura e precisione ispirandosi a colori e forme del mondo complesso dei suoi committenti, che riesce a chiarire e semplificare, mentre la sua lunga attività gli permette di scegliere tra i vari prodotti quelli che considera più vicini al suo gusto.
Persona che sa come imporsi, ha saputo ritagliarsi una posizione nel sistema dell’arte, integrandosi nell’ambiente che lo circonda e riuscendo a captare i meccanismi delle mode culturali e delle attitudini che si alternano nel tempo.
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