Lacan, l’exposition. Quand l’art rencontre la psychanalyse, è una mostra sui generis dedicata allo psicoanalista e psichiatra francese, Jacques Lacan (Parigi 1901-1981), e accolta al Centre Pompidou di Metz fino al 27 maggio 2024. Questo percorso espositivo, ampio e ben documentato, guarda ai rapporti tra l’arte e la psicanalisi attraverso le opere di 60 artisti di epoche diverse. Si va da Sarah Lucas, Urs Lüthi, Paul McCarthy, Louise Bourgeois, Sophie Calle, Ana Mendieta, Maurizio Cattelan, Annette Messager, Miss.Tic, Cindy Sherman fino a Diego Vélazquez, per passare dal cinema, video, fotografia, disegno, scultura, pittura e installazioni varie.
Curata dagli storici dell’arte Marie-Laure Bernadac e Bernard Marcadé, associati agli psicoanalisti Gérard Wajcman e Paz Corona, l’esposizione vuole valorizzare e far conoscere al grande pubblico i principi fondamentali delle ricerche di Jacques Lacan. A più di 40 anni dalla sua morte, dopo una prima tappa biografica e bibliografica, la mostra si apre con una sezione intorno alla fase dello specchio – momento in cui il bambino riconosce la propria immagine riflessa. Immancabile dunque Narciso (olio, 1597-99) di Caravaggio in dialogo con Uomo col panchetto (serigrafia su acciaio inox e specchio, 1962-1980) di Michelangelo Pistoletto o con un leggendario Robert De Niro in Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese nella scena You Talkin’ to Me?
Sezioni diverse parlano delle relazioni oggettuali attraverso il seno, le feci, il pene – di matrice freudiana – a cui si aggiungono i concetti lacaniani di sguardo e voce. Si passa così da Merda d’artista (1961) di Piero Manzoni, allo sguardo con Il falso specchio (1928) di René Magritte prestato dal MoMA di New York. Se per lo psicoanalista la rivoluzione è un eterno ritorno senza veri cambiamenti, la caduta invece è per lui sovversiva e genera altro. Un’idea incarnata da La dépossession (2014) di Latifa Echakhch, dove un cielo magrittiano tracciato su un sipario si dispiega al suolo per parlarci della caduta delle illusioni. In nome del Padre sviluppa la nozione di patriarcato di cui, come sappiamo, Lacan ne infrange l’ordine, per farsi portavoce di mutazioni sociali radicali. Sono presenti opere come il film avanguardia Daddy (1972) di Niki de Saint Phalle, in cui l’artista che ha subito un incesto all’età di 11 anni attacca simbolicamente la figura del padre.
Il linguaggio, che è al centro del pensiero lacaniano, è una sorta di filo conduttore che ci guida fino alla sezione Lalangue – neologismo da lui inventato nel 1971 per dire che l’inconscio è strutturato come un linguaggio. Una sezione, questa, che accoglie Un tiro di dadi non abolirà mai il caso di Marcel Broodthaers, clin d’œil all’omonimo poema di Stéphane Mallarmé del 1897, per un passaggio dal poema all’immagine. Lo stesso Lacan si riallaccia al padre del simbolismo letterario quando esprime il concetto di significante. In L’origine del mondo, dall’opera di Gustave Courbet del 1866, scopriamo che il dipinto, qui presente, è stato di proprietà della famiglia di Lacan fino al 1995 quando entra al museo d’Orsay. Si ispirano al capolavoro di Courbet diverse artiste, vedi L’origine du monde – after Courbet (1998, stampa vintage alla gelatina d’argento) di Mircea Cantor o Le miroir de l’origine (2014), una fotografia che immortala un momento della performance di Deborah de Robertis al museo parigino. Densa di incontri inattesi tra opere distanti per epoca, stile e genere, questa mostra si avvale di una pluralità di documenti come video, libri o riviste per un’immersione totale nell’universo lacaniano.
Per saperne di più, abbiamo rivolto qualche domanda a Marie-Laure Bernadac.
Qui l’arte fa da apripista per esporre in realtà i maggiori concetti lacaniani. Perché?
«Il pensiero di Lacan rimane oggi inesplorato a livello museale, quando invece lui è stato molto vicino all’arte e agli artisti del XX secolo. Lui diceva che l’artista precede sempre lo psicoanalista. Abbiamo voluto fare un classico percorso biografico per raccontare la sua vita, perché pochi conoscono la sua carriera, e così comprendere meglio i suoi legami con Salvator Dalì, con il surrealismo o con André Masson, come la sua importanza in quanto grande pensatore e intellettuale del XX secolo. In seguito, abbiamo ripreso i principali concetti, di cui molti parlano senza veramente conoscerne il significato, e li abbiamo messi in relazione alle creazioni artistiche».
Il piacere femminile o il corpo frammentato sono temi che parlano a tutti, soprattutto a un pubblico più giovane. È un’esposizione che si riallaccia alle questioni sociali?
«Sì, apre strade importanti, anche sul malessere di genere, sulla propria identità. Il fatto che l’anatomia non è il destino, a differenza di Freud, e che possiamo prendere il sesso che vogliamo. Comunque, ciò che vorremmo è che questo percorso espositivo metta in evidenza la psicoanalisi al di là delle tendenze attuali».
Secondo lei è un percorso espositivo alla portata di tutti?
«C’è sempre un piccolo sforzo da fare quando visiti una mostra, puoi vederla con superficialità per il piacere di vedere belle opere, e puoi anche saperne di più grazie agli strumenti didattici messi a disposizione».
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