22 ottobre 2024

Intervista a Luigi Mainolfi. Alla Reggia di Venaria il suo elogio alla natura

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La Reggia di Venaria ospita fino al 10 novembre “Mainolfi / Sculture. Bestiario“ la mostra dedicata a Luigi Mainolfi (Rotondi, 1958) a cura di Guido Curto, già direttore generale del Consorzio delle Residenze Reali Sabaude e Clara Goria, conservatrice della Reggia di Venaria

Luigi Mainolfi, Bandiere, tessuto, 2007-2020. Courtesy Mainolfi. Foto Giorgio Olivero

Le sculture, tutte a tema zoomorfo, si inseriscono tra le architetture barocche e nei giardini della Reggia di Venaria. Le terrazze della Torre dell’Orologio accolgono i visitatori con le Gabbie. Il percorso prosegue nel Loggiato della Sala di Diana dove una scultura di piccole dimensioni del 1978 dialoga con l’opera più recente in mostra, Bandiere (2020). Nel maestoso Parterre del Parco Alto settecentesco una serie di sculture in bronzo raccontano un immaginario fantastico composto da ibridi animali che dialogano con la natura del luogo. La mostra si conclude, come in un misterioso viaggio fantastico, nella juvarriana Cappella di Sant’Uberto con le Isole, due acquasantiere poste all’ingresso del luogo sacro.

Come è nato il suo bestiario? 

«Nel 2002 ero in ospedale e mi è venuta voglia di disegnare. Così ho fatto delle guaches, un centinaio. E poi mi sono detto “se sopravvivo da questa cosa che mi è capitata li voglio trasformare tutti in bronzo”».

Come mai ha scelto la scultura in bronzo per il suo bestiario?

«Io amo i materiali che esistono in natura. Il bronzo è una materia naturale, è fatto di rame e stagno. Poi così li posso esporre, posso partecipare e diventare parte della natura».

Qual è il suo rapporto con la natura?

«La natura è la madre, la Madre Terra. Genera la vita, quindi la vera opera d’arte. Il più grande artista è la natura».

Luigi Mainolfi, Solcavallo e Gabbia, ferro, 1996-1998. Courtesy Mainolfi. Foto Giorgio Olivero

Conosciamo il suo Bestiario del sole. Tra le varie creature c’è Soltitan (2008-2009), un animale ibridato con il sole. Che immaginario si nasconde dietro queste creature? 

«Soltitan è un animale che diventa sole. Penso che tutte le cose della natura possano illuminare la conoscenza».

I suoi animali hanno gli stessi bisogni dei terrestri o, se sono più vicini al sole, sono come delle divinità?

«Sono animali terrestri e allo stesso tempo divinità. E allo stesso tempo sono esseri celesti. Sono esseri che appartengono anche alla fantasia dell’infanzia e cercano di volare. Tentativi di creare altre esistenze, altri mondi». 

Confrontandoci con il presente il loro significato è cambiato?

«Sì, perché il tempo mi aiuta a modificarle. Io a volte penso che abbiano una vita propria. E cambiata la loro posizione nello spazio perché il tempo è differente. Tutto è cambiato intorno a loro. La vita prosegue». 

Luigi Mainolfi, Centaura, 2006, Bronzo, Courtesy Mainolfi, Foto di Micol Sacchi

Dopo aver varcato l’ingresso della Reggia, passando sotto le sue gabbie, si è accolti dalla scultura di un uomo con le ali,  è l’Alatino. Potrebbe essere una sorta di autoritratto?

«È un autoritratto. L’artista ha sempre fatto dei tentativi di volo. A volte durante il volo guardo verso il basso e vedo in lontananza tutto sfocato. Ma poi mi avvicino e riesco a vedere bene, riesco a mettere a fuoco. E scopro i fiumi che rigano la terra, gli alberi, i vulcani, le montagne e l’uomo, la vita. Negli anni Settanta scrivevo degli alati: “niente di simile era mai accaduto. Benché il suono fosse appena percettibile, le cose della terra si mossero e gli alati fuggirono atterriti”».

Ci parli delle gabbie. Sembrano disegni di ferro sullo sfondo del cielo.

«Sono disegni nel cielo. Sono nati per la mostra “Il bosco del re nudo” a cura di Angela Vettese, all’interno del giardino de La Marrana a Montemarcello, La Spezia. Quando l’ho visto per la prima volta mi sono reso conto che quel luogo non aveva bisogno di nulla. Non ho voluto disturbare la natura e ho realizzato le gabbie. Sono animali e gabbie. Sono come dei disegni nell’aria. Così si sono integrati nel paesaggio, senza disturbarlo».

E come mai le gabbie?

«Perché la gabbia ha un concetto di prigione. Io le ho aperte queste gabbie».

Luigi Mainolfi, Cervallo piramide, Struzzo e Gabbia, ferro, 1996-1997. Courtesy Mainolfi. Foto Giorgio Olivero

Riferendosi alle sculture Isole afferma “Questa mia scultura tenta di diventare natura nonostante le tentazioni avverse” che cosa intende? 

«Intendo che la mia scultura vuole prendere vita. Le tentazioni avverse  sono qualcosa di statico, di inamovibile. Invece io voglio come partorire, dare forma all’esistenza. Far diventare scultura l’esistenza è il mio modo di vivere».

Che correlazione c’è tra le isole e il bestiario?

«Le isole sono la nascita. Infatti sono dei grembi materni. I capezzoli diventano dei peduncoli che le sorreggono. All’interno dell’acqua nascono delle isole di diversi materiali che diventeranno delle forme  viventi».

Ci racconti delle sue bandiere, anch’esse ricordano degli animali, cosa significano?

«Le prime bandiere sono del 2007, le ultime sono queste del 2020. Anche le bandiere diventano degli animali. Rappresentano il volare, lo svolazzare. Questi animali si muovono nel vento, si muovono nell’aria con i loro felici colori. E anch’esse tentano la vita».

Luigi Mainolfi, Isole, Arcipelago, bronzo, 1983. Courtesy Mainolfi. Foto Giorgio Olivero

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