Ad ar/ge kunst, a Bolzano, la prima personale in Italia di Jessika Khazrik (1990, Beirut), “Abeyance & Concurrence (Quiescenza & concomitanza)”, a cura di Emanuele Guidi: «costretta di recente a trasferirsi da Beirut a Berlino con il diritto di mobilità che tuttora le viene negato, Jessika Khazrik nor the Society of False Witnesses ha ripensato la sede di ar/ge kunst e, dallo scorso 12 dicembre, l’ha resa accessibile attraverso elementi che si accumulano progressivamente, trasformando la sua vetrina in una piattaforma rifrangente e multilingue che trasmette suoni, luci, fumo, codici e illusioni ottiche. Gli elementi multisensoriali sono attivati a distanza dallo studio berlinese dell’artista, con il supporto di alleati a Bolzano. Gli interni di ar/ge kunst rimarranno inaccessibili per tutta la durata della mostra», che resta per ora indefinita, perché legata alle direttrive sulla gestione della pandemia, ha spiegato l’istituzione.
“Abeyance & Concurrence (Quiescenza & concomitanza” è un ulteriore sviluppo del “Blue Barrel Grove”, un progetto di ricerca “indisciplinare” ancora in corso iniziato nel 2013; un’indagine sul traffico illegale di rifiuti tossici condotto tra l’Italia e il Libano nel 1987 e in parte scaricati illegalmente in una cava vicina alla casa d’infanzia di Jessika Khazrik.
“Abeyance & Concurrence (Quiescenza & concomitanza)” è la prosecuzione delle sue meticolose inchieste e al contempo uno studio dei complessi legami che esistono tra l’ecocidio come forma di armamento e la finanza bancaria come arte di governo.
Allo stesso tempo si tratta di una reazione agli ultimi avvenimenti che hanno interessato la casa e la vita dell’artista: le rivoluzioni di ottobre 2019, lo sfratto e l’arresto illegittimo durante la crisi del sistema bancario libanese ancora in corso, l’esplosione a Beirut dell’agosto 2020 e la sindemia* causata dal Covid-19.
Il lavoro di Khazrik indaga con insistenza sui collegamenti quiescenti tra l’economia politica di sanitizzazione, igiene di stato e i regimi di invisibilità e comorbilità che seguono la noncuranza e la circolazione dei rifiuti tossici e degli armamenti. L’analisi del corpo diventa l’analisi dello stato», ha proseguito ar/ge kunst.
«La mostra, dal momento dell’invito alla sua realizzazione, ha cambiato forma radicalmente. Non soltanto a causa del Covid19 ma perché sono cambiate le condizioni per la ricerca dell’artista e la sua possibilità di viaggiare: sia la rivoluzione dell’ottobre 2019 che l’esplosione del porto nel 2020 avvenute a Beirut hanno avuto un impatto devastante nella vita di Jessika Khazrik. Il progetto è diventato quindi una forma di affrontare con questa nuova realtà. Inoltre data la generale insicurezza sulla apertura delle mostre, ci è sembrato un segnale importante quello di trovare una nostra stabilità. Abbiamo quindi abbracciato il desiderio dell’artista di chiudere lo spazio al pubblico, coinvolgendolo dall’esterno. A suo modo è anche un segno di protesta rispetto ai continui cambi di rotta delle direttive. Si tratta di una installazione multi-mediale che include scultura, fotografia e suono, in cui la sua voce è parte centrale. È un sistema che lei può controllare in remoto dal suo studio di Berlino; una mostra-installazione che trasmette una forte dimensione di lontananza e alienazione ma allo stesso tempo una ricerca di intimità, condivisione e cura».
«Ho invitato Jessika Khazrik nel 2019 per il suo progetto “The Blue Barrel Grove”, un indagine sui traffici illegali di rifiuti tossici frutto di accordi tra mafia italiana e governo libanese, iniziati negli anni ‘80; materiali tossici che sono stati anche rinvenuti a Beirut vicino all’abitazione dove l’artista è cresciuta.
Come in altri progetti che abbiamo presentato c’è un forte legame tra la propria biografia e quella del proprio paese, spesso per far emergere le relazioni di potere e gli squilibri tra nord e sud del Mediterraneo (e non solo). Piuttosto che l’approccio forense e archeologico presente nella pratica di Jessika Khazrik è un discorso che portiamo avanti da sempre: un modo di trattare i materiali senza però rinunciare a dargli un corpo più sensuale e consapevole dei linguaggi che adotta (in questo caso la stampa lenticolare, la criptografia e il machine learning), abbandonando quindi la natura puramente documentaria della “testimonianza”».
«Presto annunceremo i nuovi eventi della piattaforma hostileenvironments.eu nata dalla ricerca di Lorenzo Pezzani, mentre le prossime mostre saranno dedicate a Christoph Mayr Fingerle, architetto e co-fondatore di ar/ge kunst, scomparso prematuramente a febbraio 2020, e a maggio il progetto “Silver Rights” di Elena Mazzi, vincitore dell’Italian Council, che in modo diverso si occupa di questioni sicuramente risonanti con il lavoro di Jessika Khazirk».
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