Dopo Voli pindarici (bi-personale di Mattia Sinigaglia e Pierluigi Scandiuzzi), Crash (con opere di Bogdan Koshevoy e Bruno Fantelli) e Deus e macine (Luisa Badino e Maria Giovanna Zanella), presso gli spazi di JoyStick è arrivata Astromimesi.
Si tratta della quarta di un ciclo di mostre svolte durante i primi mesi della 60ma Biennale d’Arte in questo nuovo, energico spazio indipendente. L’esposizione vede in dialogo le poetiche di Clelia Cadamuro (classe 1995) e Cristina Porro (1993) ed è stata recentemente prorogata fino al prossimo 28 agosto.
Con il termine “astromimesi”, le due giovani vogliono far riferimento a tutto un insieme di schemi e figure che emulano pattern celesti e che si possono ritrovare nelle opere esposte.
Gocciolature, puntini di colore, ma anche microsistemi organici si ripetono, infatti, creando una sorta di complesso mosaico, o meglio: una costellazione. Proprio questo imitare i moti e i modelli del cosmo è uno dei vari punti d’incontro che unisce le poetiche di Clelia e Cristina.
Le fotografie di Clelia, ad esempio, si soffermano su piccoli dettagli naturali e non, come i micro-organismi ancorati sui fondali delle barche. Questi elementi così minuti e discreti si fanno imponenti nei suoi scatti e diventano parte di un sistema complesso e raffinato. La formazione pittorica dell’artista è chiara in questi lavori, che diventano quasi delle tele astratte nelle quali la Cadamuro cerca di cristallizzare un attimo di stasi nel costante, interminabile movimento dell’universo.
Anche Cristina Porro ricerca proprio questa cristallizzazione nelle sue opere, attraverso l’uso di resina e di materiali come il sale. Questa sperimentazione materica va a creare superfici sempre diverse e lucenti, su cui si vorrebbe quasi appoggiare i polpastrelli. Nonostante i suoi soggetti siano difficilmente discernibili, anche qui sembra di scorgere linee molli, organiche.
Entrambe le giovani, inoltre, si sono formate presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia e ciò non è un caso. JoyStick, infatti, nato da un’idea di Mattia Sinigaglia, si propone come un luogo innovativo e sperimentale che esalti e promuova proprio la nuova scuola veneziana e quei giovani artisti che nella città lagunare hanno trovato la propria casa.
Lo spazio, un negozio ormai sfitto dal prezioso pavimento alla veneziana, diventa così un luogo completamente estraneo alle logiche di profitto, proponendosi invece come un laboratorio di produzione condiviso, dove arte e artigianato sono viste come un modo per preservare quelle peculiarità dell’isola che così spesso vengono messe a rischio dal turismo di massa e della commercializzazione sfrenata.
Con JoyStick, dunque, l’arte veneziana ricorda di essere ancora viva, implacabile: un qualcosa che, certo, nasce dalla tradizione e di essa si nutre, ma che cresce ed evolve.
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