Fino a metà gennaio, da Quartz Studio, a Torino, è in corso la mostra personale di Kasper Sonne (Copenhagen, 1974). Artista danese mid carrier, Kasper Sonne ha alle spalle una vasta esperienza espositiva espositiva in tutto il mondo e un percorso artistico personale che lo ha portato a esplorare diverse modalità espressive, per approdare, oggi, a uno stile figurativo denso di riferimenti storico artistici, di grande intensità dal punto di vista della riflessione e introspezione psicologica.
A Torino, nel piccolo spazio espositivo – gioiellino di Francesca Referza, sono esposte tre grandi tele che indagano sentimenti privati ed esistenziali attraverso soggetti che, nonostante la pacatezza narrativa della composizione, appaiono fondamentalmente drammatici. Le tre tele portano i titolo emblematici di There’s nothing you can do to me (thai I haven’t already done myself) e Your feelings are wrong (entrambe del 2021) e Flag (del 2022). I soggetti protagonisti sono pugili, calciatori e sportivi. Sono però soprattutto figure archetipiche di maschi occidentali essenzialmente in crisi d’identità, che si stagliano quasi scultorei, a tutto tondo, su sfondi che appaiono bidimensionali e piatti. Il contrasto aumenta la sensazione di disagio, di fredda armonia esteriore cui corrisponde una tempesta dell’anima non detta e fa venire in mente le atmosfere dei film di Ingmar Bergman.
Per Kasper Sonne il ritorno alla figurazione, avviene così attraverso una composizione essenziale che ricorre ai colori tipici della transavanguardia ma si sviluppa soprattutto attorno a una riflessione psicologica. Si delinea in tal modo, nei suoi lavori, una sorta di luogo mentale al cui centro è la pulsione di morte. Un luogo silenzioso, oscuro, dove non trova cittadinanza alcun sentimento di piacere, di desiderio o speranza.
Da Freud a Lacan, il tema della pulsione di morte è inteso come luogo mentale cui anela chi cerca un allentamento dalle tensioni interiori. Queste tensioni sono vissute come dilanianti per l’io, al punto di giungere a vedere come desiderabile il raggiungimento di una situazione di Vernichtung, di nientificazione di ogni movimento ed espressione vitale. La pulsione all’annientamento (di sé) viene, così, addirittura vissuta come liberazione e sorta di fuga. I personaggi di Kasper Sonne sono pervasi da questi sentimenti: è come se avessero gettato la spugna, abbandonato ogni prospettiva rispetto alla realtà, rinunciando a vedere una qualunque possibilità di futuro.
L’intensità delle tele stimola però la riflessione, inducendo chi guarda a porsi delle questioni, anche personali. Dopo aver guardato nell’abisso della rinuncia alla vita e alle scelte che questa comporta, attraverso i volti di questi personaggi, l’invito sotteso e non detto è a volgersi verso se stessi, scrutando dentro di sé, alla propria parte meno attrezzata a combattere le sfide che la vita quotidiana propone, alla ricerca di punti di vista altri, luoghi della mente e stimoli diversi.
Che cosa potrebbe smuovere questi personaggi dal loro mortale torpore esistenziale? Le tele non lo dicono, sta a noi, se vogliamo, cercare una risposta adeguata. Eppure nei lavori è impossibile non cogliere la bellezza formale, la ricerca di un equilibrio che appare dalle grandi campiture di colore e risuona negli aggiustamenti, sempre opportuni e congrui. Forse è proprio qui, allora, nell’immagine bella che trova la sua personalissima Gestalt, che è possibile cogliere, con una benvenuta torsione del pensiero, un flebile, piccolo, ma prezioso barlume di speranza.
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