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Keith Sonnier alla Galleria Fumagalli: il ricordo della Direttrice e la mostra in corso
Mostre
di Silvia Conta
A Milano, alla Galleria Fumagalli, fino al 18 dicembre sarà ancora possibile visitare la personale di Keith Sonnier (Mamou, Louisiana, 1941 – Southampton, New York, 2020) “Cat Doucet”, organizzata in collaborazione con l’artista poco prima della sua scomparsa lo scorso 18 luglio a Southampton NY.
In mostra «una selezione di disegni di piccolo e grande formato della serie “Cat Doucet”, realizzati a metà anni Novanta, che ben documentano il suo processo creativo», ha spiegato la galleria.
È la seconda mostra dell’artista in galleria, dopo l’ampia antologica di suoi lavori con la luce, realizzati dal 1968 al 2017, di cui, alla fine dell’intervista, potete trovare una selezione di vedute.
Annamaria Maggi, Direttrice della Galleria Fumagalli, ci ha raccontato la collaborazione con Keith Sonnier
Galleria Fumagalli ha collaborato con Keith Sonnier dal 2018 fino alla preparazione della mostra in corso. Come è iniziata la vostra collaborazione e che ricordo avete dell’artista?
«È stato Jean-Gabriel Mitterand a introdurci all’artista Keith Sonnier, la Galleria Mitterand di Parigi già collaborava con Sonnier da diversi anni, il primo passo in autonomia è stato quello di andarlo a trovare nel 2017 negli Hamptons dove viveva e lavorava per chiedergli una mostra per la galleria di Milano. L’incontro è stato molto piacevole e cordiale, Keith era un uomo grande, forte e con uno spiccato senso dell’umorismo. Ci ha mostrato i suoi studi e le opere in realizzazione, generoso e disponibile ci ha messo a nostro agio e promesso di mandarci un elenco di opere disponibili da valutare per la mostra. Non ha potuto viaggiare per venire a Milano all’inaugurazione, nel 2018 era già in difficoltà con problemi di salute, ma siamo tornati da lui nell’estate del 2018 per la mostra al Parrish Art Museum a Water Mill (NY) e al DIA a Bridghamton, poi nel 2019 abbiamo partecipato all’inaugurazione della sua mostra da Paul Kasmin Gallery di New York (che si è svolta in contemporanea con la mostra di lavori storici alla Castelli Gallery)».
In quali aspetti della mostra in corso, oltre che nelle opere esposte, si può rintracciare l’impronta di Keith Sonnier?
«Dalle parole di Keith Sonnier traspariva spesso un grande attaccamento per l’Europa e per la sua cultura storico-artistica. Nato a Grand Mamou in Louisiana, aveva vissuto la giovinezza in una comunità in cui la cultura dei discendenti dei primi coloni francesi si era mescolata a quella americana, afro-americana e caraibica. Queste influenze sembrano guidarlo a superare la fredda serialità e geometria del minimalismo americano degli anni ’60, elaborando forme organiche, irregolari, molto colorate, talvolta ispirate al mondo vegetale e talvolta a quello umano, capaci di scaturire emozioni e racconti, come nel caso della serie “Cat Doucet”.
Altro aspetto fondamentale delle sue opere – che siano sculture al neon o installazioni realizzate con materiali industriali come tessuti, gommapiuma, legno, luci, lattice… – è la sollecitazione visiva, ma soprattutto tattile dello spettatore. I disegni di grande formato in mostra sono realizzati con la tecnica della floccatura che conferisce una vellutata tridimensionalità al tratto colorato. Dunque, persino di fronte a quelli che potrebbero essere definiti semplici disegni, traspare tutta la versatilità di Sonnier».
Le opere esposte sono particolarmente significative per la ricerca di Keith Sonnier, ce ne potete parlare?
«La selezione di disegni di piccolo e grande formato della serie “Cat Doucet” ci parlano della Louisiana degli anni ’50, ma anche del modus operandi dell’artista: lavorava per serie di opere, ovvero sceglieva un tema che poi sviluppava nel corso degli anni, a partire dallo studio su carta che poi trasponeva in scultura. È il caso appunto di questa serie dedicata alla bizzarra figura dello sceriffo Cat Doucet: immaginiamo facilmente l’artista disegnare prima su piccoli fogli di carta millimetrata e poi su grandi carte cotone le morbide e giocose sagome, che in un secondo tempo prendono vita nello spazio sotto forma di colorati tubi al neon».
Quale ritiene sia l’eredità artistica di Keith Sonnier?
«Non sono sicura che sia corretto parlare di eredità, in questo modo si darebbe per scontato che l’opera di Sonnier sia ormai superata. Non credo sia così, soprattutto se penso alle sue opere al neon: nel momento in cui vengono accese in uno spazio nuovo aprono un dialogo sempre inedito con il contesto che le accoglie. Inoltre, la sua ricerca costante, quasi spasmodica, di testare svariati materiali e tecnologie lo rende non classificabile e per questo estremamente contemporaneo».
Quali saranno i prossimi appuntamenti con la Galleria Fumagalli?
«Stiamo lavorando a un ricco programma espositivo firmato dal critico internazionale Lóránd Hegyi, per celebrare i miei 30 anni in Galleria Fumagalli. Si tratta di un percorso a puntate che mira a delineare l’uniformità delle scelte curatoriali che si sono susseguite negli ultimi tre decenni, e a stimolare nuovi dialoghi e confronti generazionali tra gli artisti che hanno lavorato o che collaborano tuttora con noi. Lóránd Hegyi ci stupirà molto con gli abbinamenti degli artisti, sarà l’occasione di una riflessione sul passato, ma con tanta voglia di proseguire l’attvità e di presentare nuove proposte al pubblico».