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L’infinito volgere del tempo, la mostra monografica di Carlo Zoli, curata da Greta Zuccali, evidenzia il lato più contemporaneo della poetica dell’artista: una costante ricerca dell’umano (ne avevamo parlato qui). In corso di mostra, a Milano, nello spin-off di HUB/ART fino al 15 giugno, abbiamo raggiunto l’artista e la curatrice per approfondire con loro un percorso espositivo articolato in ventotto pezzi unici e irripetibili, realizzati negli ultimi anni, che parlano di mito e passioni umane per rappresentare il mondo e le sue infinite danze.
Greta e Carlo, quando vi siete conosciuti? Quando avete iniziato a parlare di questa mostra? Che strada, o che strade, avete percorso, singolarmente e insieme, per arrivare qui?
«Ci siamo conosciuti in una calda giornata di settembre 2023, quando Greta viene in visita presso il mio laboratorio di Faenza. Tuttavia, anche prima di quell’incontro ognuno dei due conosce le rispettive attività dell’altro: Carlo Zoli scultore che ama definirsi “modellatore”, Greta Zuccali curatrice e consulente d’arte impegnata in progetti espositivi a livello europeo. La strada di Carlo nel mondo dell’arte inizia molti anni fa. Quarto discendente di una famiglia di ceramisti faentini, Zoli vive e lavora a Faenza. Le qualità artistiche di Zoli si fanno apprezzare fin dalla giovane età e dal 1985 inizia a esporre le sue opere in gallerie e a partecipare a mostre e fiere d’arte sia in Italia che all’estero. Greta invece intraprende i primi passi nel campo dell’arte contemporanea dopo la laurea in Giurisprudenza e un diploma conseguito a Parigi in Art Market Management. Lavora dapprima con il PAC-Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano poi a Parigi con la Galerie Jean-François Cazeau e Sotheby’s. Nel 2017 fonda la società Hub/Art Exhibition a Londra. I loro percorsi si incontrano proprio nell’ultimo anno perché in quel momento le volontà di entrambe convergono: Carlo vuole valorizzare il proprio lavoro anche all’estero; Greta, dal canto suo, vuole mettersi alla prova con un artista figurativo, uscendo dai canoni estetici che l’hanno guidata fino a quel momento».
Greta, mito e passioni permeano l’opera di Carlo Zoli. Con l’occasione di questa mostra quale paesaggio prende forma per mano dell’artista?
«Avvicinandoci al lavoro di Carlo Zoli, la sensazione è quella di immergerci in un mondo parallelo, un paesaggio popolato da tante figure, talvolta enigmatiche e fantastiche, altre volte ancorate al mito classico, alla letteratura cavalleresca o alle tradizioni cristiane. Dagli anni novanta ad oggi l’artista porta avanti le serie Quiete e Tempesta, i due volti di quella medaglia tanto preziosa quanto effimera che noi tutti chiamiamo Esistenza. Da una parte creature eteree e armoniche, dall’altra soggetti viscerali e battaglieri, lavorati con minuzia di dettaglio e nati con l’intento di evocare sentimenti e sensazioni che caratterizzano la più profonda essenza umana. I due corni della fiamma creativa di Zoli, sono da ultimo inseriti in un cosmo più ampio e sfuggente, quello del Tempo, esplorato dall’artista e al centro dell’esposizione intitolata L’infinito volgere del tempo, presentata dapprima a Firenze presso Palazzo Guadagni Strozzi Sacrati, sede della Regione Toscana, e ora in corso presso lo spin-off di Hub/Art in via Nerino 2 a Milano».
Carlo, il testo in accompagnamento alla mostra di Luca Nappieri inizia con il termine “Gratitudine”. Che rapporto ha con questo sentimento e che legame esiste con le opere, dall’ideazione alla creazione?
«Innanzitutto sento la necessità di ringraziare il critico d’arte Luca Nannipieri per aver espresso questo sentimento che per me si esprime nell’atto della creazione artistica in diversi modi. In primo luogo la gratitudine verso la materia che dà vita al mio lavoro, l’argilla, e il momento magico in cui posso affondare le mani in essa e dare forma al pensiero, in un atto reciproco di scambio e dialogo silenzioso. Gratitudine poi per il mondo e la bellezza che ci circonda, la natura, gli animali, il mare, e per gli incontri che rendono la vita straordinaria, anche nelle sue difficoltà e contraddizioni. Gratitudine poi verso le persone più importanti della mia vita, la mia famiglia, i miei figli, la loro energia. Stimoli sempre nuovi che riporto nel mio lavoro e diventano linfa vitale che scorre fra le mani e plasma le mie sculture. Infine la gratitudine per la mia storia, la mia tradizione e il senso di connessione e appartenenza: l’eredità che porto nel mio sangue e che sempre vivrà con me, orienterà il mio sguardo e determinerà le mie scelte in senso autentico e profondo».
Carlo, L’infinito volgere del tempo, ha affermato la curatrice, evidenzia il lato più contemporaneo della sua poetica: una costante ricerca dell’umano. Qual è lo stato attuale di questa ricerca e in che direzione andrà?
«L’infinito volgere del tempo è solo uno dei temi su cui verte la mia ricerca. Come espresso nel testo curatoriale, questo ciclo esprime la circolarità del tempo attraverso il simbolo dell’anello che ricorre in tutte le principali sculture, inserite in una circonferenza in metallo che fa da architettura e indirizza lo sguardo in una visuale definita. Il cerchio diventa un simbolo – la forma perfetta, la ciclicità – ed esprime l’Eterno ritorno dell’uguale dell’umanità, delle sue passioni, dei sui sbagli, senza via di fuga se non la presa di coscienza che solo nel momento presente abbiamo la possibilità di cambiare la storia, prima che essa torni a noi eternamente uguale. A questa serie si affiancano i due cicli storici, Quiete e Tempesta e da ultimo una serie dal titolo Il Teatro di Carlo, per me vere e proprie messe in scena del teatro della vita, ma in questo caso senza un riferimento preciso a miti o leggende. Al di là di questi cicli e della loro denominazione, la mia ricerca è in costante evoluzione e punta ora alla realizzazione di sculture di grandi dimensioni in bilico tra divinità e mortalità, inserite idealmente in un luogo di bellezza e provocazione, dove convivono terra e cielo in una varietà che vuole sfidare l’omologazione».