Le insolite ceramiche di Urara Tsuchiya sono le protagoniste della mostra “Homebound“, visitabile fino al 26 settembre da ADA. La galleria di Roma, tra le prime a riaprire dopo il lockdown, ha organizzato per l’artista un progetto di residenza al Faenza Art Ceramic Center, finalizzato alla produzione della mostra. La residenza, iniziata a gennaio 2020, ha dato vita a una produzione inaspettata, includendo elementi della reclusione domestica. Abbiamo raggiunto l’artista giapponese, classe ’79, per conoscere meglio il suo stile e questo progetto.
Ciao Urara, i tuoi ultimi lavori sono frutto di una residenza a Faenza organizzata da ADA per la produzione della mostra. Il progetto prevedeva la realizzazione di un serie di ceramiche, nell’arco dei mesi di gennaio, febbraio e marzo, al Faenza Art Ceramic Center. Puoi raccontarci come si è sviluppato il tuo lavoro?
Da quando lavoro al centro di ceramica ho iniziato a sperimentare la realizzazione di opere su una scala maggiore. Solitamente non riesco a lavorare su ciotole troppo grandi ma, grazie all’aiuto di un mastro ceramista, ho potuto occuparmi anche di ciotole dal diametro di 45 centimetri, riuscendo a creare al loro interno figure e paesaggi intrecciati. Inoltre, la collaborazione con Faenza Art Ceramic Center mi ha dato la possibilità di provare vari smalti di loro produzione, ma anche l’opportunità di sperimentare le loro argille nei diversi tempi di cottura.
L’improvviso lockdown ti ha trattenuta in Italia, permettendoti di proseguire con le creazioni in ceramica. Come hai reagito al coronavirus? Che tipo di stimolo creativo hai tratto da questa quarantena?
È deprimente! Non penso di aver tratto nuovi stimoli creativi dal lockdown, ma l’unica cosa di cui sono felice è che non ho troppi progetti a cui pensare visto che la maggior parte di questi sono stati posticipati al prossimo anno o addirittura cancellati. È piacevole potersi prendere del tempo per dedicarsi con più attenzione a meno progetti…
Tra i soggetti di Homebound riconosciamo i tuoi motivi ricorrenti. C’è la biancheria intima, le ciotole contenenti scene erotiche, l’universo umano fuso con quello fiabesco e zoomorfico e persino i prodotti per la pulizia. Puoi parlarci ulteriormente di questo immaginario?
All’inizio ho lavorato di più sugli oggetti di uso quotidiano – prodotti per la pulizia, boxer, moci e secchi, biancheria intima economica del mercato locale – poi ho pensato di ricominciare a creare ciotole, ma in una scala diversa, per spingermi oltre. Anche se la tematica può essere ripetitiva, è emozionante rivisitare il tema lavorando su una dimensione più grande. Creare delle scene più epiche con maggior numero di figure dà molta soddisfazione.
Le scene erotiche che rappresenti vedono come personaggi esseri umani, pupazzetti e animali. Grazie alla tua vena ironica, la visione non è mai del tutto scabrosa. Come puoi descrivere questa espressione della sessualità?
Non credo di essere interessata all’erotismo, ma trovo che sia utile rappresentare delle scene che contengano all’interno qualcosa di leggermente strano, forse per evidenziarne l’assurdità. Mi piace creare immagini dove bisogna guardare due volte per afferrare cosa stia succedendo, per questo è importante realizzare le scene in modo che risultino esteticamente piacevoli. L’altro giorno stavo guardando un porno tra pupazzi, magari potrei usarlo per dei lavori futuri.
Al momento hai deciso di rimanere in Italia. Cosa ha spinto questa decisione? Il lavoro in Italia, in particolare a Faenza, ha influenzato alcuni aspetti tecnici o formali dei tuoi lavori?
Sono diventata un po’ pigra e spaventata per andare da qualsiasi parte, nonostante avessi in programma dei progetti (Art Basel, Kunstverein Dresden e Chart Art Fair). Lo studio ha tutto ciò di cui ho bisogno: forno, tornio, macchina per le lastre, bagno e anche il frigo. Qui è molto facile comprare tutti i materiali per le ceramiche rispetto a Glasgow, dove ordinavo tutto online.
In più, posso testare gli smalti ed ho sempre il supporto tecnico di un ceramista esperto che mi consente di lavorare con il tornio anche gli oggetti più grandi. Tutto ciò mi permette di sperimentare in modo più approfondito le tecniche e l’utilizzo dei materiali. Con la pandemia in corso, poi, non ho potuto ricevere visite in residenza, il che mi ha permesso di godermi lo studio tutto per me. Mi sento molto più sana qui, anche se mi mancano i miei amici di Londra e Glasgow.
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