La città fantastica è il nuovo progetto condotto da Elena Dal Molin, curatrice e gallerista di Atipografia, innovativa realtà espositiva nella città di Arzignano. Il titolo fa riferimento, spiega la curatrice, «all’opera a cui Pietro Folgliati ha lavorato durante la sua vita e che racchiude tutti i suoi anni di ricerca. Era un progetto utopico al quale, tramite le sue sculture, cercava di dare vita, una realtà, una concretezza».
Le città fantastiche di Fogliati nascono infatti ad un’esigenza mossa dallo stesso artista, legata al suo odio viscerale verso lo smog, la città, il caos ed il rumore prodotto dalla tecnologia. Lui voleva inserire all’interno del «suo ambiente urbano delle presenze estetiche nelle quali il cittadino potesse entrare per staccare dalla situazione di rumore», ci racconta Paolo Fogliati, figlio di Pietro Fogliati e fondatore dell’Archivio Fogliati. Esse dovevano essere delle sorta di “stazioni di pace” nelle quali si poteva trovare rifugio e godere di alcune esperienze artistiche. Fra i suoi progetti troviamo quello di «colorare la pioggia, realizzare sculture di luce utilizzando, come materiale, la stessa luce, sonorizzare fiumi e laghi. Una serie di interventi utopici». Il tutto partiva da suoi schizzi, da lui chiamati “fissazioni di idee”, tentativi di mettere su carta le sue intuizioni per poi effettivamente realizzarle in delle sorta di maquette, al fine di dimostrare «la potenzialità di poterle creare a dimensioni corrette, al fine di poter contemperare questo tipo di interventi nell’ambiente».
Nonostante tutta questa ricerca inizi dal voler riformulare gli esiti della tecnologia, quali smog, caos e rumore, «lui credeva che la stessa tecnologia, impiegata in modo altro, potesse essere la soluzione a quegli stessi problemi che lui tanto soffriva, e sulla cui base ha fondato il suo lavoro», conclude il figlio Paolo.
Immergiamoci ora all’interno dello spazio espositivo dove innumerevoli opere provenienti dall’Archivio Pietro Fogliati sono collocate nella penombra della galleria. L’attenzione dell’osservatore non è infatti rivolta ai vari e peculiari strumenti meccanici, ma verso il prodotto del loro gioco luminoso, che costituisce la vera opera d’arte, o meglio, ciò che Fogliati chiamava “spazi immateriali fantastici”. La protagonista della prima parte espositiva è infatti la luce, che anima tutte le opere dell’artista, come in Reale virtuale, 1993, a creare una scultura immateriale data da un riflesso luminoso sulle pareti di un’ampolla e in Luce solida, 1971 che realizza una vera e propria scultura di luce.
La seconda parte dell’esposizione è legata al suono e al movimento, il quale viene decostruito e rielaborato tramite numerose opere, in particolare con Macchina che respira, 1990, che trasforma il suono dell’aria tramite due pistoni in continuo movimento. Il risultato, udibile tramite due simil-cornette collegate alla macchina, è un suono che rievoca un respiro umano. Essa ricrea le sembianze di un animaletto, che ha un suo proprio movimento e un animus, tanto da respirare.
L’esito del suo lavoro era dunque arrivare a creare una città utopica, riprodotta al termine dell’esposizione in uno dei suoi disegni della serie La città fantastica. Qui, tutti i piccoli progetti da lui realizzati diventano parti di un disegno più grande, che li raccoglie tutti. L’esposizione La città fantastica presso Atipografia si propone come un momento di riflessione, volto a presentarci delle realtà alternative create tramite l’ausilio dell’arte e della creatività. Essa è un tributo alla capacità dell’uomo di sognare e realizzare visioni che sembrano impossibili, lasciando un’impressione duratura su chiunque la visiti.
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