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La Collezione Panza alla Hauser & Wirth St. Moritz. Le parole di Stefano Rabolli Pansera
Mostre
di redazione
Hauser & Wirth, nella sede di St. Moritz, ospita “Map and Territory. Environmental Art from the Panza Collection” una mostra incentrata sul rapporto tra arte ambientale e minimal (fino al 3 ottobre). Creando una collezione di ineguagliabile profondità, ha spiegato la galleria, i Panza hanno svolto un ruolo fondamentale nell’introdurre i movimenti dell’arte moderna americana nei musei europei. In particolare, Giuseppe Panza è stato un pioniere del collezionismo della Land Art e dell’arte ambientale, e ha anche cercato di creare il primo museo di arte ambientale, un progetto non realizzato. Questa mostra riunisce una selezione di sculture, disegni e fotografie di artisti della collezione, tra cui Martin Puryear, Roni Horn, Richard Nonas, David Tremlett, Jan Dibbets, Hamish Fulton, Emil Lukas, Gregory Mahoney, Christiane Löhr, Ron Griffin e Carole Seborovski», ha spiegato la galleria.
Le parole di Stefano Rabolli Pansera, Direttore di Hauser & Wirth St. Moritz
Come è nato questo progetto espositivo?
«Siamo lieti di collaborare per la seconda volta con la Collezione Panza, una delle collezioni più importanti del XX secolo, in seguito alla presentazione degli straordinari archivi e pratiche dei Panza presso Hauser & Wirth London nel 2018. Volevamo continuare a mantenere accesi riflettori sullo straordinario lavoro che Giuseppe e Giovanna Panza hanno svolto nel campo della promozione e del collezionismo di artisti contemporanei americani nel contesto europeo, in particolare nel campo dell’arte ambientale. Giuseppe Panza è stato un pioniere in questo settore, ed era così impegnato nell’arte e nell’ambiente che ha persino progettato di creare il primo museo d’arte ambientale. Una presentazione di questo è perfettamente in linea con i valori della galleria. La sostenibilità e l’ambiente occupano un posto centrale nell’approccio di Hauser & Wirth, dal rappresentare artisti che si occupano di questioni ambientali come Tetsumi Kudo, Gustav Metzger e Pierre Huyghe, fino all’impegno a diventare un leader del settore artistico per quanto concerne le pratiche sostenibili».
Quali ritiene siano gli aspetti più interessanti di una collaborazione tra una galleria e una collezione privata?
«Poche raccolte del Novecento sono state paragonabili a quella di Giuseppe Panza per coerenza nel modo di raccogliere e per l’approccio sistematico che ha avuto nella selezione e nell’acquisizione delle opere. Ci auguriamo che questa collaborazione continui a svilupparsi per diversi anni, ampliando il discorso sulla collezione e sulle opere straordinarie raccolte dai Panza. Questa collaborazione è un’estensione del nostro impegno nella ricerca e nell’approfondimento della comprensione dell’arte del XX secolo e degli artisti contemporanei, e gli eventi e le conferenze che la accompagnano offrono l’opportunità di condividere questa conoscenza con un pubblico ancora più ampio».
Quali sono state le idee e l’impegno di Giuseppe Panza sui temi dell’ambiente e della sostenibilità e come si riflettono nella collezione?
«Giuseppe Panza era consapevole dell’impatto dell’uomo sulla natura. Ha detto nel suo libro di memorie del 2006 Giuseppe Panza: Memorie di un collezionista che la natura ci farà pagare per le nostre colpe dopo poche generazioni, qualcosa di cui oggi siamo fin troppo consapevoli. L’interazione tra uomo e natura è riflessa nell’arte ambientale che ha raccolto. La collezione Panza comprende opere scultoree di Martin Puryear, Roni Horn, Greg Mahoney, Emil Lukas e Ron Griffin, che utilizzano oggetti naturali e artificiali presi dall’ambiente. Altri come Carole Seborovski, Hamish Fulton e Jan Dibbets rispondono all’ambiente naturale dipingendolo, sia con il disegno che con la fotografia. Queste opere della collezione riflettono la stessa consapevolezza dell’ambiente che Giuseppe Panza ha cercato di consolidare ulteriormente con i suoi progetti per creare il primo museo d’arte ambientale».
Come è strutturato – in sintesi – il percorso espositivo? Puoi suggerirci un paio di pezzi particolarmente significativi in questa mostra?
«La mostra porta in un viaggio su due piani, con opere a parete e pezzi installati direttamente sul pavimento. La scultura da pavimento di Roni Horn “Thicket No. 1” (1989) può essere vista vicino alle finestre dal pavimento al soffitto quando si entra. Il testo sul bordo della scultura, “vedere un paesaggio com’è quando non ci sono”, è ancora più profondo sullo sfondo dell’Engadina e ricorda agli spettatori di apprezzare la natura. Altre opere al piano terra utilizzano materiali che sono stati presi direttamente dall’ambiente, come “Some Tales” di Martin Puryear (1975 – 1978). Questa è un’opera incredibilmente rara che è sopravvissuta all’incendio che ha distrutto lo studio di Puryear nel 1977. Panza credeva che Puryear fosse uno dei più grandi scultori del XX secolo e apprezzava la qualità organica delle sue opere. Al primo piano, diverse opere incorniciate raffigurano l’ambiente, alcune in modo esplicito e altre in modo astratto. Queste conducono poi a una serie di sculture concettuali grandi e piccole, dall’esplorazione di Richard Nonas di comuni materiali artificiali all’uso di ciocche di crine di cavallo da parte di Christian Löhr in ‘Haararbeit (Lavoro di crine)’ (2003), celebrando i piccoli e delicati aspetti della natura che spesso trascuriamo».