Arte come sfida. Alle idee facili da realizzare e da far assaporare, e a quelle un po’ stracotte. A quelle solo di dimensioni vendibili. A chi ha paura di far deragliare emotivamente e non consolare il pensiero di chi le guarda. Per fortuna c’è chi ha il coraggio di farlo. Ai Weiwei, artista tra i più influenti nell’arte contemporanea oggi (e da tempo) forse lo ha come destino. Suo padre, il poeta Ai Qing, era stato condannato ai lavori forzati in quanto “reazionario”, la sua famiglia quindi ha trascorso l’infanzia, prima in un campo militare di rieducazione a Shilhezi, nel nord-ovest della Cina, poi in un villaggio nel deserto del Gobi. E a 16 anni aiutava il padre a pulire le latrine pubbliche di un sobborgo di Pechino. A lui è toccato invece in patria che il governo lo chiudesse in carcere, gli demolisse lo studio di Pechino, gli togliesse il passaporto e gli ha oscurasse il blog. Perché con la sua ricerca artistica ha rivelato le contraddizioni interne alla Cina, riportando in auge la figura dell’artista in dialogo stretto con la sua società, per cui le scelte artistiche si propongono di cambiarla.
Ora affida la sua narrazione sulla condizione umana attuale (“humanity” è una parola che ripete spesso) a una gigantesca scultura, che sembra un lampadario, ma non lo è, dal titolo “La Commedia Umana – Memento mori”, esposto all’Abbazia di San Giorgio Maggiore sull’isola di San Giorgio a Venezia fino al 27 novembre.
Uno “chandelier” (così si chiamano questi lampadari) di vetro nero di 9 metri di altezza, larga 6, di quattro tonnellate di peso e composta da 2000 pezzi soffiati e fusi a mano da Berengo Studio, di Murano che ha scelto da diversi anni di mettere il vetro in dialogo con l’arte contemporanea. Un gigante dell’arte sulle spalle di un gigante del vetro e il risultato non può che essere un’opera quasi titanica e potente. Una riflessione sull’umanità e sul rapporto tra la vita e la morte anche in seguito alla recente pandemia. Il lavoro di Ai Weiwei non prescinde mai da quanto accade nel mondo. Se ne fa, per fortuna, geniale portavoce.
L’opera è composta da organi, ossa, teschi, cuori polmoni, uccellini di twitter e altri oggetti. E’ la nostra condizione?
Ai Weiwei: «È un dato di realtà, noi siamo questo: siamo corpi con organi e cervello”, spiega l’artista concettuale, pittore, fotografo, regista e attivista. “Quello che voglio dire è che si tratta di linguaggi diversi per cui l’apparenza di ciò che vediamo non è esattamente ciò che siamo. E anche la nostra celebrazione della vita oggi non interpreta realmente ciò che accadrà in seguito».
Come dichiara il titolo: “La commedia umana – Memento mori”. Ce lo spiega?
Ai Weiwei: «Il titolo dovrebbe suggerire qualcosa che riflette la condizione umana, originariamente deriva dalla ispirazione di Dante, (la Divina commedia nda), lo scrittore, che si è sempre concentrato sull’umano e sul potere sopra di noi. Egli ha capito la vita e la morte. La commedia umana – Memento mori siamo felici di averlo esposto in questa chiesa in rapporto con il passato. La scelta del vetro nero è ironico, ma non lo solo. Gli chandelier di solito siamo abituati a vederli con la luce. Questo non ha luce e ha richiesto una speciale illuminazione (fatta da Luce5) perché a volte la nostra luce interiore è oscura e noi dobbiamo sempre trovare la strada per cercarla».
Quali sono i maggiori pericoli che vede per l’umanità in questo momento?
Ai Weiwei: «Il cambiamento climatico…
Penso che il pericolo più grande, se vogliamo chiamarlo pericolo, o invece la più grande crisi della nostra società sia che fraintendiamo la vita stessa. Non sappiamo veramente cosa abbiamo, e non siamo veramente consapevoli di quanto sia prezioso ogni momento di vita».
Lei è famoso per avere un legame con la tradizione come nel caso del lavoro alla Tate Modern, Sunflower Seeds dove ha ricoperto il pavimento della Turbine Hall con cento milioni di semi di girasole di ceramica, fabbricati e dipinti a mano dai maestri cinesi. Come è arrivato al vetro? È stata una sfida anche questa?
Ai Weiwei: «Mi sono rivolto al vetro anche perché Adriano Berengo ha insistito molto. All’inizio rifiutai perché non potevo conoscere la materia, entrarci direttamente. Ma quando vidi la fabbrica a Murano, rimasi profondamente impressionato da come la forma esce dal fuoco e da come lavoravano. E’ un luogo magico dove quello che viene creato, non mostra come si è arrivati al quel risultato. E’ il frutto del contributo di tanti individui. Non hai nessun controllo solo l’idea e l’immaginazione».
«Questa incredibile scultura alta quasi 9 metri e larga 6 è composta da più di 2mila pezzi di vetro nero in parte soffiato e in parte realizzato con la tecnica Casting, cioè a stampo. È un racconto drammatico che parla di morte. Ma richiama la vita. La scultura è appesa sotto la cupola della navata centrale della basilica palladiana di San Giorgio Maggiore sull’isola di San Giorgio a Venezia. E’ in vetro nero opaco e ha potuto essere realizzata grazie all’eccezionale capacità dei maestri di Berengo Studio nei quali Ai Weiwei ha trovato i migliori interpreti delle sue idee. Ancora una volta la comunità benedettina del monasteri di San Giorgio Maggiore dimostra un’apertura mentale verso l’arte contemporanea intelligente. Uccellini di twitter, telecamere dei regimi autoritari, iguane alate, teste di cavallo, coccodrilli…
Questa immensa scultura in vetro nero è anche un libro, è anche una scenografia teatrale. L’opera, appena posizionata, è stata ammantata di sacralità, di spiritualità. Il dialogo con i Domenico Tintoretto che la circondano è naturale. “La Commedia Umana – Memento Mori” – così si chiama la mostra – è curata da Ai Weiwei stesso, da Adriano Berengo e da Carmelo Grasso, direttore artistico dell’Abbazia di San Giorgio Maggiore».
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