«Ho cancellato il Codice civile e il Codice penale perché senza parola non c’è diritto, e senza diritto non c’è democrazia. Il primo impegno dell’arte è quello di discutere in un mondo che urla» spiega Emilio Isgrò, padre indiscusso della cancellatura che iniziò a sperimentare nei primi anni Sessanta e che ancora oggi mantiene la stessa vivacità e audacia creativa.
Con la mostra Cancellazione dei Codici – Civile e penale, promossa da Archivio Emilio Isgrò, in collaborazione con MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna | Settore Musei Civici Bologna e Giuffrè Francis Lefebvre, con il patrocinio del Dipartimento di Scienze Giuridiche, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, con il sostegno di Galleria Gaburro e il contributo di UniCredit, Isgrò è intervenuto su 29 testi giuridici, in particolare il Codice civile e il Codice penale – che appartengono alla serie di volumi realizzata appositamente da Giuffrè Francis Lefebvre, per proporre una diversa riflessione sul significato di convivenza comune.
«I condomini sono l’autorità giudiziaria» o «La falsa dichiarazione sulla propria identità, dichiara o attesta altre qualità» sono alcuni esempi, visibili nelle sale di Palazzo Malvezzi, sede del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna, di come Isgrò, superando con l’atto della cancellatura le caratteristiche della lingua asciutta e fortemente antipoetica propria delle raccolte di norme giuridiche (sul testo, in nero e in bianco, attraversato da qualche formica), abbia dato origine a lavori dal forte impatto formale, talvolta tendenti all’ironia, che graffiano per la loro incontestabile verità e danno voce a nuove interpretazioni del testo.
«La cancellazione dei Codici – osserva la curatrice Cristina Mazzantini – conferma l’intensa relazione tra la ricerca artistica di Isgrò e la sua militanza sociale. Avvertendo una crisi planetaria, Isgrò usa l’arte, responsabile nei confronti della storia, per difendere la democrazia. A partire dalle origini ateniesi, cancella la letteratura giuridica più attuale, mettendo in luce quelle parole che meglio garantiscono la libertà e l’emancipazione». Le fa eco il curatore Lorenzo Balbi, sottolineando che «Molto spesso, anche in tempi recenti si è parlato di cancellature e rimozioni a Bologna e in questo specifico contesto e tempo la mostra di Emilio Isgrò assume un significato ancora più radicale. La cancellatura è un atto distruttivo e allo stesso tempo costruttivo: distruttivo dell’opera, allo stesso modo in cui è la sua rimozione, ma al contempo generatore di dibattito e di significato. Come dichiara lo stesso Emilio Isgrò “Si cancella per svelare, non per distruggere“».
A Mazzantini e Balbi si aggiunge anche il curatore Marco Bazzini evidenziando che «Tra i diversi fili rossi che attraversano l’intero corpus cancellatorio di Isgrò è possibile recuperarne uno che ha guardato con particolare attenzione alla letteratura giuridica. Le prime cancellature su questo argomento, infatti, sono datate alla fine degli anni Sessanta e nel tempo, a scansione temporale irregolare, si ripropongono fino ad arrivare a questi ultimi Codici che ne rappresentano, restando in tema, l’ultimo grado di giudizio».
La sua personale e originale ricerca sul linguaggio ha reso Emilio Isgrò una figura pressoché unica nel panorama dell’arte contemporanea internazionale, facendone uno dei suoi indiscussi protagonisti. È, infatti, il 1964 quando inizia a realizzare le prime opere intervenendo su testi, in particolare le pagine dei libri, coprendone manualmente una grande parte sotto rigorose griglie pittoriche. Le parole e le immagini sono cancellate singolarmente con un segno denso e dello scritto restano leggibili soltanto piccoli frammenti di frasi o un solo vocabolo. Nel tempo questo gesto si applica alle carte geografiche, ai telex, al cinema, agli spartiti musicali, anticipa le espressioni più tipiche dell’arte concettuale, si declina in installazioni e, con il passaggio dal nero al bianco negli anni Ottanta, arriva a risultati pittorici che si sono rinnovati in questi ultimi anni quando con la cancellatura ha costruito immagini quasi fossero pittogrammi. Il cancellare è un gesto contraddittorio tra distruzione e ricostruzione. Le parole, e successivamente le immagini, non sono oltraggiate dalla cancellatura ma attraverso questa restituiscono nuova linfa a un significante portatore di più significati: l’essenza primaria di ogni opera d’arte. La cancellatura è la lingua inconfondibile della ricerca artistica di Emilio Isgrò che oggi appare come una filosofia alternativa alla visione del mondo contemporaneo: spiega più cose di quanto non dica.
Luigi Balestra, professore ordinario di Diritto civile nel Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna, in occasione della Cancellazione dei Codici – Civile e penale, afferma: «La più antica Facoltà giuridica del mondo incontra Emilio Isgrò, pittore, poeta, giornalista, scrittore, regista e… giurista. Questo il possibile titolo di un evento straordinario che celebra un incontro tra i luoghi in cui ha iniziato a germogliare il diritto in epoca moderna e un artista fattosi giurista attraverso la consapevolezza, derivante dallo studio cólto e raffinato dei testi giuridici, di una precipua esigenza: cogliere la vera essenza dei testi, espungendone tutti quei contenuti inidonei ad esprimerla ovvero dissentendo dai medesimi ogniqualvolta essi si pongano in conflitto con i valori fondamentali su cui si fonda la pacifica convivenza civile e le libertà democratiche».
La mostra è accompagnata da un catalogo, edito da Allemandi Editore, all’interno del quale Daria de Pretis e Francesco Viganò, giuristi e giudici della Corte costituzionale, hanno interpretato i Codici di Isgrò in due lunghi, approfonditi e originali saggi.
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