Sergio Fermariello, Untitled, 2024, canvas on steel and white enameled steel, 160 x 120 cm
È forse fra le imprese più difficili, per un artista dal tratto riconoscibile e di fama consolidata, evitare di diventare la copia di se stesso. L’atto della creazione – qualcosa di fortuito e imprevedibile, per nulla scontato – può non ricorrere infatti in tutte le fasi della sua vita. Sergio Fermariello, che ritorna da Studio Trisorio nella mostra che prende il suo nome, visitabile fino al 15 giugno 2024, appartiene a quella categoria di artisti che riesce sempre a sfuggire all’incubo del già visto, pur restando fedele ai concetti cardine che segnano la strada del suo percorso.
«Ci si adagia sul riconoscibile ma viviamo tutti su un piano inclinato. Io sono uno di quelli a cui piace sparigliare – racconta Fermariello – Mi sento come un frutto giunto a maturazione, una maturazione a tratti anche violenta. Quando negli anni ’80 iniziai a collaborare con Lucio Amelio ero acerbo. Sono cresciuto conservando il nocciolo della mia essenza». E in effetti sono fedeli nel rinnovamento le sei opere di grande formato presentate nello spazio di Riviera di Chiaia: un’esplosione di colore che squarcia il bianco totale, sfuggendo ad ogni tipo di classificazione (sono quadri o istallazioni?), indagando la tridimensionalità mediante il superamento del concetto di “cornice”.
«In questo ciclo supero la comfort zone del telaio e del supporto. Come un uccello pronto a spiccare il volo, lascio la sicurezza del foglio bianco per lanciarmi nel vuoto. Ed è così che i miei guerrieri, le lance e gli scudi, le mie “I” e le “O” antropomorfe, sono in questo caso scavate nel metallo. Il disegno, in realtà, è formato da ciò che manca. Nell’assenza ritrovo la maturità del mio pensiero e, come dice Massimo Recalcati, la mancanza è vita». Ricorrono infatti i guerrieri cari all’artista: lance e scudi, offesa e difesa, l’apertura e la chiusura che coesistono in ogni essere umano e che rendono l’esistenza un’infinita oscillazione.
«Più che conservare le radici sento oggi di essere in grado di conservare la matrice – prosegue Fermariello – ma lo faccio con una maggiore consapevolezza. Oggi ciò che penso, faccio. È stato possibile grazie ad una squadra di professionisti e artigiani capaci di comprendermi al volo, ma anche perché ho finalmente preso coscienza dello spazio che occupo. Ci sono arrivato facendo della fragilità – della mancanza appunto – la mia forza. Non sono altro che uno dei miei guerrieri».
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