Sulle alte colline di San Marcello Piteglio, sopra Pistoia, sorge una vasta area boschiva contornata di campi e sentieri che conduce, dopo una camminata, a una capanna in mezzo al verde. Sembra l’inizio di una storia fantastica: tuttavia, ci troviamo nel parco di OCA, Oasy Contemporary Art and Architecture, un luogo dedicato all’arte e all’architettura, nato da un progetto di Oasi Dynamo sull’Appennino pistoiese. Una stalla dove fino a poco tempo prima erano ospitate delle mucche è stata riconvertita in spazio per esposizioni, in cui, attualmente, è in corso la mostra Love Letter dell’artista camerunense Pascale Marthine Tayou (1966), in collaborazione con Galleria Continua e curata da Marco Bazzini ed Emanuele Montibeller, visitabile fino al 30 novembre 2024.
Tayou è un artista poliedrico, tanto nell’uso di materiali e mezzi quanto per i temi trattati nella sua produzione: ci parla di emergenza climatica, salvaguardia dell’ambiente, compromesso tra appartenenza a un territorio e esigenze dettate dall’imporsi del villaggio globale, di dicotomia tra artigianato e società dei consumi. Love Letter testimonia questa vocazione ad andare oltre, utilizzando il mezzo come soggetto della creazione artistica, lo scarto come ornamento, ribaltando la naturale posizione degli elementi utilizzati come nel caso delle pietre di Colorful stones (2019), elevate da terra e inchiodate al muro, in un’installazione che narra gli effetti della globalizzazione e le divisioni delle comunità moderne, unite dall’essere pietre e disgregate nella diversità cromatica.
I riferimenti all’artigianato si mescolano con quelli della società dei consumi. Tayou è un mediatore che tenta di comunicare la «relazione ambivalente tra l’uomo e la natura». La sua arte è movimento prodotto dal viaggiare incessante, per rimanere a contatto l’altro da sé, fino alle zone più remote e amene dell’Appennino toscano. Un viaggio turbolento come l’installazione di case volanti appese sul soffitto della stalla: la loro condizione è ambigua e mostra all’esterno il loro contenuto, sospese a metà tra lo schiantarsi a terra e la speranza di cadere “in piedi”, approdando a una nuova vita. Love Letter è una dichiarazione d’amore nei confronti di OCA in cui Tayou decide di non dare nel percorso molte spiegazioni, per dare libertà di interpretazione allo spettatore. Creata appositamente per questo spazio è Love from Dynamo (2024), testimonianza di questo atto di amore per chi, come nell’esperienza di Dynamo Camp, serve la vita umana e i valori quotidiani.
Tayou mette tutto in discussione, anche la sua figura di artista, definendosi un «produttore». Studia i fenomeni che scaturiscono dall’evoluzione del villaggio globale, il rapporto dell’individuo con la collettività e come questo colpisce la sua identità e la modifica; sono concetti attuali e impattanti, riassunti nell’enorme installazione Plastic bags (2001-2014), un enorme alveare variopinto formato da buste di plastica con cui Tayou ci porta a riflettere sul consumismo dell’era contemporanea.
La terminazione in -e del suo nome è tipica della desinenza femminile nel francese; la scelta del femminile sovraesteso, è una presa di posizione ironica nei confronti del concetto di autorialità artistica, a dimostrare la fluidità dell’identità personale. L’aggiunta di una lettera determina il genere di appartenenza e Tayou vuole lasciare spazio al femminile, fondersi in una realtà altra, considerata in molti contesti – tra cui quello artistico – subalterna a una narrazione prettamente al maschile. È una possibilità che viene negata all’uomo comune e anche agli oggetti che rappresentano la sua identità collettiva; per questo l’artista-produttore ci mostra le Masques délavés (2019) spogliate dalle azioni di cui sono state oggetto negli ultimi due secoli, ripulite dal trucco variopinto che le aveva portate sul mercato verso una commercializzazione selvaggia, restaurando la loro autenticità. Questo è quello che Tayou in ogni opera vuole comunicarci: spogliarsi della patina applicata all’identità individuale e a quella del proprio paese, a metà tra la casa e il mondo intero, come rappresenta Jpegafrica/Africagift (2006), un riflettore dopo l’altro, cercando di non rimanere accecati dalle norme precostituite per mostrare la vera condizione dell’uomo.
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