Fino al 23 marzo 2025 il Mao museo d’arte orientale di Torino ospita una mostra dedicata all’opera di uno degli artisti più influenti del XX e XXI secolo, oltre che riconosciuto padre della videoarte: Nam June Paik. La mostra, affidata alla curatela del direttore Davide Quadrio e Joanne Kim, con Anna Musini e Francesca Filisetti, inaugura la stagione 2024-25 del museo.
Il MAO ci ha ormai abituati ad una proposta espositiva innovativa e densa di ispirazioni, e questa mostra, che porta il titolo Rabbit inhabits the Moon. L’arte di Nam June Paik allo specchio del tempo, non fa eccezione, anzi conferma la tendenza. Così, in un percorso espositivo insieme euritmico ed esperienziale, le opere di Paik e di altri più giovani artisti contemporanei che a lui si ispirano, sono alternate, come note di una partitura contemporanea, a manufatti ed espressioni artistiche e artigianali dell’antica Corea, provenienti dalle più prestigiose collezioni italiane e internazionali.
Come è noto, Nam June Paik fu tra gli esponenti e fondatori del movimento Fluxus degli anni ‘70 insieme con Yoko Ono, Joseph Beuys e George Maciunas. La sua opera si caratterizza per il suo interesse nei confronti degli allora nuovi media, come la televisione lo schermo e altri dispositivi elettronici, soffermando la propria attenzione poetica sulla tecnologia applicata alle immagini e alla loro percezione. Il tutto non senza un filo di ironia, ma anche con una profonda attenzione alle ricadute antropologiche, spirituali ed esistenziali che l’ingresso dei media nella vita degli uomini e delle donne di oggi portava con sé. Dal punto di vista critico, ironico, e, va da sé, artistico, il suo lavoro possiede a tutt’oggi una qualità profondissima di approccio insieme critico e visionario al mondo dei media e delle nuove tecnologie, individuandone temi e, perché no, effetti collaterali, con cui la società contemporanea sta ancora tentando di fare i conti.
L’opera che dà il titolo alla mostra, Rabbit inhabits the Moon (1996), è una meraviglia di ironia e visionarietà. Posto sopra una struttura in legno un coniglio, anch’esso di legno, fissa la luna. Questa però non è distante, nel cielo, ma proiettata su uno schermo televisivo. Tra le altre cose, l’opera s’ispira a un antico mito orientale, che vedeva come protagonista un coniglio premiato dalle divinità per la sua bontà e capacità di sacrificio con il dono dell’immortalità e della vita eterna sulla luna. Oltre alla lettura ironica dettata dal linguaggio contemporaneo con cui l’opera si propone, si aprono così altri possibili livelli interpretativi che hanno a che fare con il patrimonio culturale, spirituale e mitico orientale. I due livelli di lettura, ironia e profondità, non si giustappongono, ma stanno anzi l’uno accanto, o forse dentro, l’altro, in un gioco infinito di rimandi e suggestioni.
Al tema della luna, ai misteri e alla cultura sciamanica coreana, da cui Paik proviene, è ispirato tutto il percorso espositivo che, come si è detto, mette insieme in un confronto virtuoso e creativo manufatti e opere dell’antichità orientale con opere di artisti contemporanei sia storicizzati sia di ultima generazione. Sono presenti diversi altri lavori di Paik, tra cui alcuni video storici (in uno compare Laurie Anderson) e altre opere di assoluto pregio e interesse. Tra i lavori di artisti contemporanei viventi di ispirazione fluxus si segnalano invece, tra gli altri: Sounds Heard from the Moon. Part 2 (2024) di Jiha Park, ricorrendo ad antichi strumenti musicali coreani ipnoticamente, tra differenza e ripetizione, lavora con i suoni; e Nocturne No. 20 / Counterpoint (2013-2020) di Kyuchul Ahn, in cui un Notturno di Chopin viene letteralmente smontato nelle note che lo compongono, una per una, mentre, durante la performance – eseguita da Gloria Campaner e Sun Hee You – uno per uno gli 89 martelletti del pianoforte vengono rimossi, fino ad ottenere una sorta di magico silenzio.
La mostra nel suo complesso si configura, così, come un dialogo di tradizioni e civiltà vivace e profondo, ma anche ricco di stimoli sensoriali, in modo particolare legati al mondo della musica. In questo modo, senza tradire la propria identità, anzi rafforzandola, il MAO di Torino si fa ancora una volta luogo di un circolo virtuoso vivo e dinamico, dove avvengono incontri inattesi ma perfettamente armonici.
Nella genesi di questo specifico evento espositivo, oltre all’opera dei curatori già citati, è poi da ricordare la consulenza curatoriale e scientifica di Manuela Moscatiello (Chargée d’étude, Maison de Victor Hugo di Parigi), Kyoo Lee (curatore della sala dello sciamanesimo, professore di Filosofia alla City University di New York) e Patrizio Peterlini (Direttore della Fondazione Bonotto).
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