Categorie: Mostre

La memoria della superficie: Maha Malluh e Valentina Palazzari a Trieste

di - 26 Gennaio 2023

Il secondo appuntamento della serie APPROACH#, nato dalla collaborazione instaurata nel 2021 tra la galleria MLZ ART DEP di Trieste e la WAF Wiener Art Foundation di Vienna, propone una mostra curata da Davide Sarchioni che coinvolge le artiste Maha Malluh (Jeddah, Arabia Saudita, 1959), autrice di Food for Thoughts – Al-Muallaquat, prima opera di un’artista esposta in pubblico in Arabia Saudita, e Valentina Palazzari (Terni, 1975). Il sodalizio tra lo spazio triestino e l’istituzione no profit viennese, grazie anche al supporto della Galerie Krinzinger di Vienna, si pone l’obiettivo di instaurare un dialogo tra i due differenti sistemi artistici.

Il lavoro di Maha Malluh, esposto e acquisito in molte istituzioni internazionali come il British Museum, la 57° Biennale di Venezia, il Guggenheim di Abu Dhabi, e il SFMoMA di San Francisco, si condensa per questa mostra nella serie Modernity and Tradition, composta da una sequenza di fotogrammi realizzati attraverso l’esposizione alla luce di oggetti su carta fotosensibile. In queste opere emerge il concetto della memoria come veicolo di narrazione storica, geografica e culturale che si materializza in immagini che, partendo da una composizione molto precisa, simile alla pratica del collage, vengono decontestualizzate e private del loro originale impiego, mescolando così componenti provenienti dalla tradizione araba a oggetti di uso comune della cultura occidentale. Lo spettatore viene in questo modo posto davanti a un immaginario visuale destrutturato che, partendo da forme chiare e ben delineate, si traspone in figure che vengono private della loro forma originaria divenendo un tutt’uno con la composizione scelta dall’artista. Nelle sue grandi installazioni, Maha Malluh si avvale di oggetti di recupero, di manufatti che ci restituiscono l’immagine di un ambiente legato alla quotidianità che, in un secondo momento, vengono classificati e presentati attraverso un processo di ripetizione quasi ossessiva.

Approach #2, Maha Malluh e Valentina Palazzari, 2023, veduta della mostra, MLZ Art Dep + Wiener Art Foundation, Trieste. Foto di Isaco Praxolu

Non è tanto l’idea della pratica, suggerisce il curatore, quanto il riflettere sulla scelta degli oggetti provenienti dal repertorio dell’artista, oggetti che vengono impiegati per creare letteralmente delle “impressioni” costruite attraverso l’utilizzo della superficie fotosensibile ottenendo l’immagine in negativo delle composizioni create. È proprio il fotogramma ad avvalorare questo processo che, portando l’immagine a smaterializzarsi attraverso la polarizzazione tra bianco e nero, quasi fosse una radiografia, mette lo spettatore nella condizione di riconoscere l’oggetto che osserva ma allo stesso tempo lo condanna ad un processo di annullamento.

Il processo di inversione delle forme, che parte dunque da oggetti specifici per crearne di nuovi dalle forme piĂš indefinite, si contrappone con eccezionale equilibrio alla pratica di Valentina Palazzari, le cui opere si conservano, ad esempio, nelle collezioni contemporanee della Reggia di Caserta, mentre due opere audiovisive sono state selezionate dal Miami New Media Festival per il DORCAM Museum della medesima cittĂ .

Anche nei lavori di Valentina Palazzari ritroviamo un richiamo inevitabile al contesto storico e culturale dell’artista, segnato anzitutto dai ricordi giovanili delle acciaierie di Terni, città in cui l’artista è nata e ha vissuto fino all’età di 18 anni. Sono “archivi infantili”, come vengono definiti da Palazzari, quelli che la spingono ad impiegare la ruggine come elemento predominante e a lavorare sul grande formato, come nelle sue più note installazioni ambientali. Attraverso la ruggine, materia viva e reale, l’artista segna la superficie dell’opera con il valore immateriale della memoria, del tempo e delle loro continue trasformazioni.

Approach #2, Maha Malluh e Valentina Palazzari, 2023, veduta della mostra, MLZ Art Dep + Wiener Art Foundation, Trieste. Foto di Isaco Praxolu

Il processo verso il quale protendono le sue opere in mostra richiama molto i passaggi adottati per lo sviluppo fotografico con la differenza che, nella maggior parte dei casi, il fotografo ha un controllo su ciò che si materializzerà sulla carta, mentre in questo caso l’artista non può che affidarsi alle reazioni chimiche della ruggine a contatto con superfici differenti. È proprio la sensazione di forza e allo stesso tempo di caducità del materiale ad avvalorare l’aspetto concettuale che Valentina ripone nelle sue opere, conferendo loro una doppia valenza legata alla polvere di ruggine come ciclo vitale e come universo creativo. Ecco, dunque, che le immagini formatesi, alle volte su tela altre su plastica industriale, riguardano «Un ampio ventaglio di configurazioni possibili, tra suggestioni pesaggistiche delicate e potenti o immagini sorgive di rara intensità, deflagrazioni o visioni cosmiche, dove i processi corrosivi hanno alimentato la forza generatrice della materia», afferma il curatore. È un processo che oscilla costantemente tra controllo e libertà: controllo che Palazzari attua nel momento in cui sollecita i processi di ossidazione e libertà nell’istante in cui le forme scaturiscono attivando così un secondo livello processuale legato alla costante scoperta del materiale impiegato.

L’unica eccezione in questo processo è l’opera Autoritratto che in un’istallazione site-specific propone un grande tappeto costruito attraverso l’assemblaggio di catene e cavi elettrici che vengono posizionati dall’artista in un vortice concentrico che potrebbe proseguire all’infinito.

Il lavoro curatoriale di Davide Sarchioni permette dunque di far emergere l’importante componente ambientale che accompagna la pratica delle due artiste proponendo un incontro-scontro tra due mondi differenti che hanno degli immaginari di riferimento molto precisi e che condividono il tema dell’“impressione” su una superficie attraverso l’atto memoriale del gesto. Un atto che per Maha Malluh parte dagli oggetti per renderli astratti e farli scomparire, mentre per Valentina Palazzari il poter partire dai materiali le permette di ricostruire immagini da far rivivere attraverso la materia.

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