Il secondo appuntamento della serie APPROACH#, nato dalla collaborazione instaurata nel 2021 tra la galleria MLZ ART DEP di Trieste e la WAF Wiener Art Foundation di Vienna, propone una mostra curata da Davide Sarchioni che coinvolge le artiste Maha Malluh (Jeddah, Arabia Saudita, 1959), autrice di Food for Thoughts â Al-Muallaquat, prima opera di unâartista esposta in pubblico in Arabia Saudita, e Valentina Palazzari (Terni, 1975). Il sodalizio tra lo spazio triestino e lâistituzione no profit viennese, grazie anche al supporto della Galerie Krinzinger di Vienna, si pone lâobiettivo di instaurare un dialogo tra i due differenti sistemi artistici.
Il lavoro di Maha Malluh, esposto e acquisito in molte istituzioni internazionali come il British Museum, la 57° Biennale di Venezia, il Guggenheim di Abu Dhabi, e il SFMoMA di San Francisco, si condensa per questa mostra nella serie Modernity and Tradition, composta da una sequenza di fotogrammi realizzati attraverso lâesposizione alla luce di oggetti su carta fotosensibile. In queste opere emerge il concetto della memoria come veicolo di narrazione storica, geografica e culturale che si materializza in immagini che, partendo da una composizione molto precisa, simile alla pratica del collage, vengono decontestualizzate e private del loro originale impiego, mescolando cosĂŹ componenti provenienti dalla tradizione araba a oggetti di uso comune della cultura occidentale. Lo spettatore viene in questo modo posto davanti a un immaginario visuale destrutturato che, partendo da forme chiare e ben delineate, si traspone in figure che vengono private della loro forma originaria divenendo un tuttâuno con la composizione scelta dallâartista. Nelle sue grandi installazioni, Maha Malluh si avvale di oggetti di recupero, di manufatti che ci restituiscono lâimmagine di un ambiente legato alla quotidianitĂ che, in un secondo momento, vengono classificati e presentati attraverso un processo di ripetizione quasi ossessiva.
Non è tanto lâidea della pratica, suggerisce il curatore, quanto il riflettere sulla scelta degli oggetti provenienti dal repertorio dellâartista, oggetti che vengono impiegati per creare letteralmente delle âimpressioniâ costruite attraverso lâutilizzo della superficie fotosensibile ottenendo lâimmagine in negativo delle composizioni create. Ă proprio il fotogramma ad avvalorare questo processo che, portando lâimmagine a smaterializzarsi attraverso la polarizzazione tra bianco e nero, quasi fosse una radiografia, mette lo spettatore nella condizione di riconoscere lâoggetto che osserva ma allo stesso tempo lo condanna ad un processo di annullamento.
Il processo di inversione delle forme, che parte dunque da oggetti specifici per crearne di nuovi dalle forme piĂš indefinite, si contrappone con eccezionale equilibrio alla pratica di Valentina Palazzari, le cui opere si conservano, ad esempio, nelle collezioni contemporanee della Reggia di Caserta, mentre due opere audiovisive sono state selezionate dal Miami New Media Festival per il DORCAM Museum della medesima cittĂ .
Anche nei lavori di Valentina Palazzari ritroviamo un richiamo inevitabile al contesto storico e culturale dellâartista, segnato anzitutto dai ricordi giovanili delle acciaierie di Terni, cittĂ in cui lâartista è nata e ha vissuto fino allâetĂ di 18 anni. Sono âarchivi infantiliâ, come vengono definiti da Palazzari, quelli che la spingono ad impiegare la ruggine come elemento predominante e a lavorare sul grande formato, come nelle sue piĂš note installazioni ambientali. Attraverso la ruggine, materia viva e reale, lâartista segna la superficie dellâopera con il valore immateriale della memoria, del tempo e delle loro continue trasformazioni.
Il processo verso il quale protendono le sue opere in mostra richiama molto i passaggi adottati per lo sviluppo fotografico con la differenza che, nella maggior parte dei casi, il fotografo ha un controllo su ciò che si materializzerĂ sulla carta, mentre in questo caso lâartista non può che affidarsi alle reazioni chimiche della ruggine a contatto con superfici differenti. Ă proprio la sensazione di forza e allo stesso tempo di caducitĂ del materiale ad avvalorare lâaspetto concettuale che Valentina ripone nelle sue opere, conferendo loro una doppia valenza legata alla polvere di ruggine come ciclo vitale e come universo creativo. Ecco, dunque, che le immagini formatesi, alle volte su tela altre su plastica industriale, riguardano ÂŤUn ampio ventaglio di configurazioni possibili, tra suggestioni pesaggistiche delicate e potenti o immagini sorgive di rara intensitĂ , deflagrazioni o visioni cosmiche, dove i processi corrosivi hanno alimentato la forza generatrice della materiaÂť, afferma il curatore. Ă un processo che oscilla costantemente tra controllo e libertĂ : controllo che Palazzari attua nel momento in cui sollecita i processi di ossidazione e libertĂ nellâistante in cui le forme scaturiscono attivando cosĂŹ un secondo livello processuale legato alla costante scoperta del materiale impiegato.
Lâunica eccezione in questo processo è lâopera Autoritratto che in unâistallazione site-specific propone un grande tappeto costruito attraverso lâassemblaggio di catene e cavi elettrici che vengono posizionati dallâartista in un vortice concentrico che potrebbe proseguire allâinfinito.
Il lavoro curatoriale di Davide Sarchioni permette dunque di far emergere lâimportante componente ambientale che accompagna la pratica delle due artiste proponendo un incontro-scontro tra due mondi differenti che hanno degli immaginari di riferimento molto precisi e che condividono il tema dellââimpressioneâ su una superficie attraverso lâatto memoriale del gesto. Un atto che per Maha Malluh parte dagli oggetti per renderli astratti e farli scomparire, mentre per Valentina Palazzari il poter partire dai materiali le permette di ricostruire immagini da far rivivere attraverso la materia.
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