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La memoria distopica di Felix Shumba alla Galleria Fonti di Napoli
Mostre
Stars at time in veins, the times for a leaf, way of the north, sono solo alcuni dei titoli delle opere presenti in A following year, la mostra di Felix Shumba alla Galleria Fonti di Napoli, prima personale in Europa dell’artista, originario dello Zimbabwe, dove vive e lavora. La ricerca di Shumba si concentra sugli effetti traumatici, fisici e psicologici, del capitalismo e, per farlo, tenta di decostruire spazi immaginari, i cosiddetti Fold Fields Space, luoghi dove impera un senso di imminente insicurezza, dislocazione, alienazione, tutto sotto il massivo controllo di regimi che usano gli eserciti come forza per imporsi.
«Essere neri – dice Shumba – è sinonimo di morte. Il mio lavoro è un tentativo di produrre documenti che mostrino l’immediatezza della violenza gratuita sui neri in senso letterale». Unire memoria personale e storia collettiva rende i FFS un’opera in progress, infatti, lo stesso titolo della mostra, A following year, rimarca un tempo indefinito, come destinato a ripetersi. L’esposizione è scandita da opere su carta, realizzate con il carboncino proveniente dagli alberi abbattuti nelle zone minerarie del suo villaggio a Masvingo. Il processo di trasformazione dei rami freschi, racchiusi in un recipiente riscaldato ad alta temperatura e senza ossigeno per diventare carboncino, emula quello della morte per soffocamento, così come «La pittura a olio – dice l’artista – lasciata nuda su una tavolozza, crea un cuoio capelluto dell’interno bagnato, simile a come quando si asciugano le ferite».
Shumba utilizza il mascheramento e un immaginario distopico per sensibilizzare lo spettatore nella comprensione delle difficoltà contemporanee nello Zimbabwe. Con l’ausilio di fonti archivistiche e mediatiche della Rhodesia coloniale, presenta in FFS una postcolonia oppressa e ostacolata nel raggiungimento della sua libertà.
Nel gruppo di quattro opere, Shumba sceglie, in particolare, Caino che uccide Abele di Rubens, per affrontare e attualizzare in chiave personale il tema del fratricidio. Nella scena, che potrebbe essere un polittico contemporaneo, i corpi si inarcano in una lotta estenuante, il cui movimento culmina nell’assassinio. Una vulnerabilità umana e una sottomissione fisica sembrano riaffiorare nelle immagini, richiamando quello che, nella storia biblica, Dio sente come «Il sangue di Abele gridare dalla terra». Shumba fa partire quel grido della sua terra, svelando la devastazione fisica e mentale a cui è sottoposta la cultura nera.
I titoli dei disegni sono frammenti della sua poesia surrealista , mentre quattro dei ritratti immaginari, simili a maschere, sono ispirati a fotografie del periodo coloniale conservate negli archivi pubblici e online dello Zimbabwe. Le forti immagini carbonizzate, prendono vita su atemporali sfondi bianchi, che isolano le figure, obbligando lo sguardo a soffermarsi su accumuli e cancellature di carboncino che nascondono ferite e violenze inimmaginabili, eppure reali.
Nella serie Nocturnal Bodies, di cui fa parte l’installazione esposta alla 15ma
Biennale di Sharjah, si fa riferimento all’uso di armi chimiche e biologiche da parte del governo rhodesiano durante la guerra civile. Le maschere che le unità speciali del governo indossano sono la prova dell’avvelenamento ma anche del processo di occultamento della violenza istituzionale nei confronti della popolazione. Le scene di Shumba sembrano immagini scattate per immortalare un momento preciso o un attimo che potrebbe accadere nell’immediato: questa latenza crea un non-vuoto colmo di incognite difficili da risolvere ma che scatenano un’energia vibrante.
La mostra di Felix Shumba alla Galleria Fonti di Napoli sarà vistabile fino al 31 gennaio 2025.