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La mostra che racconta la vita di Fiorucci ha trasformato la Triennale di Milano in un atelier
Mostre
Seduto al banco di scuola, un giovane Elio Fiorucci alzava gli occhi oltre la finestra aperta, lasciando divagare il pensiero verso una già chiara visione di futuro fatto di colori, moda, arte e viaggi.
È da questo scorcio biografico, reso scenografia teatrale, che si apre la mostra Elio Fiorucci in Triennale, da novembre fino al 16 marzo 2025, retrospettiva di un’icona poliedrica che ha rivoluzionato il modo di concepire il fashion design e il costume dagli anni ’60, in occasione dei dieci anni dalla morte. Il marchio ha insegnato a guardare all’abbigliamento come mezzo di espressione, come un modo di comunicare la propria identità. I negozi e le vetrine Fiorucci erano contaminazioni tra esperienze di designer e architetti, momenti di incontro tra intellettuali e artisti animati da performance e musica. «Invadendo di colori e forme nella Milano cupa degli anni Settanta e poi esportando la sua cometa cromatica nel mondo, Elio Fiorucci ha dato alla sua città il regalo di un primato nella creatività internazionale», tiene a sottolineare Stefano Boeri. Il percorso che la curatrice Judith Clark e lo scenografo Fabio Cherstich costruiscono è come un «libro aperto» sulle aspirazioni e le divagazioni di Fiorucci, una personalità versatile, ottimista e appassionata dalla joie de vivre, promossa come brand di moda.
La mostra inscena gli eclettici linguaggi di Fiorucci tramite una selezione di oggetti, vestiti iconici, grafiche, shopper e archivi personali che diventano pastiche di colori e neon tra design e arte. La curatela prende spunto dal ricordo che tanti milanesi conservano dello stilista, del suo negozio in via Torino e degli angioletti stampati sulle magliette, e guarda all’eredità culturale che ha segnato la rivoluzione dei costumi degli anni Settanta. Uomo entusiasta e solare, sin da giovane Fiorucci ha saputo muoversi tra imprenditoria e comunicazione, unendo mondi creativi e filantropia. Attento osservatore delle culture giovanili e anticipatore del moderno cool hunter, lo stilista ha reso democratico il mondo fashion, trasformando il denim in un capo sexy, «svolgarizzando il nudo per inneggiare alla libertà del corpo», come egli stesso affermava. Fiorucci ha ripensato il concetto di «esporre in vetrina» esibendo oggetti e collezioni come opere d’arte, sovrapponendo gli spazi della merce agli spazi dell’arte: non limitarsi a «vendere vestiti, ma offrire un’esperienza, un modo di vivere». Nonostante il successo internazionale, Fiorucci rimase un uomo discreto, riservato e lontano dai riflettori, coltivando amicizie significative e dedito al rispetto verso il pianeta e gli animali. Il brand Love Therapy, lanciato nel 2003, testimonia il suo impegno sociale e filantropico, promuovendo un messaggio di rispetto reciproco e di amore condiviso.
Un allestimento “alla Fiorucci”, come racconta Clark, un intreccio tra fashion show, atelier alternativo e galleria d’arte: «Non è una mostra che pettegola, ma una biografia intellettuale che ripercorre i rapporti di Elio con in grandi protagonisti dell’architettura, grafica e design». L’originalità di Fiorucci risiede nella sua innata capacità di cogliere le tendenze del momento, anticipando le future. Portò in Italia la moda Swinging London (minigonna, ballerine, collant), lo streetstyle e pop americana, che emancipa la femminilità e libera il corpo, idea ben lontana di tagli perbenisti borghesi e i canoni hippie. Il primo negozio, aperto nel 1967 in Galleria Passarella, era un tripudio di colori, vetrine eccentriche, luci e un impianto musicale: un concept store che si sviluppava attorno alla scala di Achille Castiglioni (e inaugurato da Adriano Celentano), pensato da Fiorucci come «una finestra sul mondo, con le novità di Carnaby Street, le hit parade londinesi e quelle statunitensi». Anche se non parlava una parola di inglese, collaborò con Andy Warhol, Madonna e Keith Haring, tra i nomi, aprendo il primo flagship store a New York, nella leggendaria 59th Street, che attrae subito l’attenzione del jet set internazionale.
Il tema della parola, scritta e parlata, è il fil rouge che connette i vari capitoli della mostra, racconto personale di un Elio ironico, provocatorio e sensibile, che si unisce al ricordo sentimentale che la città di Milano conserva. «È stato come fare un viaggio», racconta Fabio Cherstich, curatore della scenografia. Ogni oggetto esposto è simbolo dei molteplici mondi e dell’universo colorato a cui Fiorucci ha dato forma, inseguendo il sogno di una visione quasi poetica.
L’allestimento è pensato cronologicamente tramite strutture teatrali che si affacciano sul capitolo successivo: «Fiorucci è il narratore principale della mostra. Possiamo letteralmente ‘sentire’ i suoi ricordi tramite delle cornette telefoniche, unite a testimonianze di amici, famigliari e collaboratori».
L’arcobaleno al neon a fine percorso recita: «Fiorucci non discrimina l’unicità e l’inusualità»: il segreto del suo successo sta non solo nell’approccio visionario sul lavoro di mercato ma sulla sua innata capacità comunicativa e nel coraggio di sfidare apertamente le convenzioni del tempo, cogliendo le energie giovanili e trasformandole in progetti concreti. Nel testo Liminal Fiorucci, Gianmarco Gronchi nota come Fiorucci sembra inserirsi «Nel clima di graduale sovversione del comune sentire legato al sesso e alla corporeità attraverso un raffinato ma costante stimolo visivo di quelli che fino ad allora erano considerati tabù», per esempio utilizzando immagini di le pin-up su buste, carte da lettere, cartoline, orologi, shopping bag e innumerevoli altri prodotti.
Elio Fiorucci ha insegnato a vivere la moda come un’avventura, un gioco in cui l’importante è divertisti e capire come si vuole vivere. Insieme al nuovo catalogo, al podcast scritto da Andrea Batilla e all’album Il giro del mondo per Elio Fiorucci. Gli album di Mirella Clemencigh, a cura di Judith Clark con Adelita Husni-Bey, la mostra è un primo passo verso nuovi progetti germinativi, tra talk e momenti di ricerca, pensati per «lasciare la finestra sempre aperta sul futuro delle visioni dei giovani».