Labirinti di carne, pozze di liquido amniotico, danze macabre e corpi che si sciolgono e contorcono in un inferno dalle sfumature dantesche: sono questi i protagonisti di quella che Sergio Padovani (Modena, 1972) definisce la sua «pittura respingente », oggi in mostra presso la sede di Fondazione THE BANK, a Bassano del Grappa. La Fondazione, attraverso un ricco programma espositivo, si propone di sostenere attivamente la pittura contemporanea, in particolare con un occhio di riguardo per la produzione figurativa italiana.
La mostra, intitolata Sergio Padovani. Opere dal 2018 al 2024 e curata da Cesare Biasini Selvaggi, approda a Bassano del Grappa per l’ultima tappa di un tour italiano e internazionale che ha visto i lavori in questione esposti ai Musei di San Salvatore in Lauro (Roma), al Complesso di San Paolo di Modena e alla Galerie Schwab Beaubourg di Parigi.
Queste creazioni, oggi esposte sui due piani di un’ex-filiale della Banca Commerciale Italiana, danno la possibilità al visitatore di approfondire le fasi artistiche degli ultimi sei anni di attività di Padovani, il quale, durante questo periodo, ha sperimentato con diversi supporti e formati, ma sempre tenendo fede alla sua visione di una pittura turbolenta, inquietante, dove i significati si stratificano l’uno sull’altro, andando a creare una sua mitologia personale.
La ricerca di Padovani è, infatti, plasmata da quella che potremmo definire una “mentalità semiotica”: ad ogni simbolo, ad ogni figura scelta dall’artista corrisponde uno specifico significato, un racconto. E così le sue opere si riempiono di riferimenti alla grande letteratura del passato, ai testi che legge e alle storie che sente raccontare. Tutto, per Padovani, diventa metafora.
Di ciò è un esempio interessante l’opera I folli abitano il sacro mentre le notti infieriscono, del 2020. Qui, ognuno dei tre personaggi rappresentati —uno dei quali presenta un’ampia voragine lì dove dovrebbe trovarsi il petto— si connota per una forte carica simbolica ed incarna un diverso stadio della follia, mentre una serie di figure non ben definite sembra sparire nello sfondo. Il tema della follia, inoltre, sembra essere particolarmente caro a Padovani, che vi ritorna spesso, rappresentando personaggi che hanno, letteralmente, “perso la testa” o che scompaiono in un buio profondo, avvolti dalla notte eterna.
Colpisce, poi, l’opera Le Repentite, lavoro su rame del 2023, che muove i propri passi dalla visita dell’artista alla Cripta delle Repentite di Palermo. Padovani rappresenta le prostitute convertite alla vita monastica come un corpo unico, pulsante. Ma ciò che è più interessante è il fatto che l’artista si sia dedicato a questo dipinto ben quattro anni dopo la sua esperienza a Palermo. Ciò dimostra alla perfezione il modus operandi del modenese, che lascia affiorare piano piano, dal suo subconscio, esperienze e racconti del passato per poi trasportarli nel suo universo iconografico, in cui tempi lontani si mescolano ad episodi ed esperienze intime.
E così, nei suoi lavori troviamo riferimenti al Rinascimento fiammingo, all’iconografia cristiana, alla religiosità popolare. Queste immagini dal fascino antico si mescolano con episodi di violenza attuale, con le vicende personali di Padovani e con la sua visione del mondo.
Nonostante le processioni di demoni e i corpi mozzati che si esibiscono sulla tela, quella di Padovani può però essere vista come una pittura catartica, proprio perché condensa nell’opera tutte le ossessioni più oscure dell’essere umano.
Per Antonio Menon, presidente della Fondazione THE BANK, l’opera di Padovani è anche qualcosa in più: «Salvifica. (…) Ecco, per me la pittura è stata ed è salvifica. La pittura vera, quella che indaga l’Uomo, quella che non teme di sconvolgere, quella che è necessità di mettere sulla tela le proprie angosce, le proprio paure, il proprio percorso di vita. La pittura di Padovani è questo».
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