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La più grande retrospettiva in Italia dedicata a Jean Cocteau alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia
Mostre
di Emma Drocco
Una destrezza da giocoliere. È forse questo il miglior modo per descrivere il linguaggio artistico di Cocteau e per la quale l’artista è stato spesso criticato dai suoi contemporanei.
L’enfant terrible della scena artistica francese del XX secolo è al centro della grande retrospettiva che popola, con oltre 150 opere, le sale della Collezione Peggy Guggenheim. Curata da Kenneth E. Silver, esperto dell’artista e storico dell’arte presso la New York University, la mostra, visitabile fino al 16 settembre,ci accompagna a scoprire disegni a opere grafiche, da gioielli ad arazzi, documenti storici, libri, riviste, fotografie, documentari e film diretti dallo stesso Cocteau, provenienti da prestigiose realtà museali internazionali e collezioni private.
Una penna, un pennello, un paio di forbici, un libro aperto e una sigaretta. Sono gli elementi che Cocteau sorregge nel celebre ritratto realizzato nel 1949 per la rivista “Life”, dal fotografo Philippe Halsman, in cui mostra la varietà delle espressioni artistiche con cui Cocteau si cimenta nel corso della sua carriera, rappresentandolo con sei braccia. Un potere sovrumano, quasi divino, è forse l’unico modo per spiegare una delle figure più influenti del Novecento.
Ma come si può descrivere Cocteau? «Un uomo dell’establishment francese, eppure così eversivo nei confronti di esso, Cocteau incarna le contraddizioni culturali, sociali e politiche della sua epoca.» Un poeta, ma anche romanziere, drammaturgo e critico, scriveva testi su arte e musica e adottava diverse forme narrative, tra cui gli scritti di viaggio e le memorie. Ma Cocteau è stato anche (e soprattutto) un brillante artista visivo, abile, innovativo, capace di approcci originali, ed è proprio quest’ultimo aspetto della sua vita creativa il fulcro della mostra alla Collezione Peggy Guggenheim: il Cocteau disegnatore, grafico, muralista, designer di moda, di gioielli, tessuti, e regista.
“Stupiscimi!” (“Étonne-moi!”) è la sfida che Sergej Djagilev, impresario dei Ballets Russes, lancia al giovane Jean Cocteau e al suo potenziale creativo. La carriera di Cocteau può essere interpretata proprio come una risposta a questa provocazione iniziale. E lo vediamo molto bene nel percorso della mostra, che, sia per la conformazione delle sale, che formano un tortuoso percorso con interessanti colpi d’occhio, sia per l’accurata selezione fatta dal curatore, ci riesce a stupire, in un percorso tumultuoso ma geniale, un po’ come la sua vita.
Il percorso espositivo si snoda intorno a una serie di capitoli che toccano i principali temi al centro dell’opera di Cocteau: l’Orfeo e il tema della poesia, l’eros, il classico nell’arte, Venezia e il rapporto con Peggy Guggenheim, il cinema e il design, che si esprime nella moda ma soprattutto nel gioiello e nelle arti applicate. I bellsisimi gioielli saltano subito all’occhio dello spettatore ma è soprattutto nei disegni che l’artista mette in luce la centralità del tema del desiderio nella sua pratica artistica, così come il rapporto ambivalente che sempre legò Cocteau a Cubismo, Dadaismo e Surrealismo. È certo impossibile non citare La spada d’Accademico di Jean Cocteau (1955), un pezzo incredibile, realizzato per lui, su suo disegno, da Cartier, in oro e argento, con smeraldi, rubini, diamanti, avorio (in origine), onice e smalto.
«Organizzare la mostra di Cocteau fu piuttosto difficile», racconta Peggy Guggenheim nel suo libro di memorie, Una vita per l’arte, «per parlargli si doveva andare nel suo albergo a Parigi e cercare di discutere mentre era a letto che fumava l’oppio. L’odore era estremamente piacevole ma quel modo di trattare gli affari era quantomeno strano.» È proprio con una mostra dedicata a Cocteau, suggerita da Marcel Duchamp, che Peggy Guggenheim inizia la sua carriera artistica nella galleria londinese Guggenheim Jeune, nel 1938. L’esposizione includeva numerosi studi per i costumi dei personaggi creati dall’artista per la sua recente commedia I cavalieri della tavola rotonda (1937) e i relativi arredi, nonché due disegni di grandi dimensioni su lenzuola di lino, realizzati appositamente per la mostra.
Come spiega Guggenheim nella sua autobiografia, Una vita per l’arte (1979): «Uno era un soggetto allegorico dal titolo La paura dona le ali al coraggio, e includeva un ritratto dell’attore Jean Marais che, con altre due figure molto decadenti, compariva con i peli del pube scoperti». Proprio per il soggetto rappresentato l’opera viene sequestrata dalla dogana britannica, e solo dopo estenuanti trattative la collezionista accetta di mostrarla non all’interno della mostra, ma solo privatamente nel suo ufficio presso la galleria.
«Una leggenda ha il diritto di esistere al di la del tempo e del luogo. Interpretatela come volete», scrive Cocteau in Orfeo (1950). Ed è proprio con questo spirito che andrebbe visitata la mostra alla Collezione Peggy Guggenheim.