In un tempo governato da sistemi e automatismi, che significato assume l’atto creativo e umano? Ma soprattutto, vi è ancora spazio per esso? Questa la riflessione che scaturisce dinanzi alle diverse opere presentate negli spazi della galleria Viasaterna di Milano. La concezione tradizionalista dell’arte, difficile da dirsi totalmente superata nonostante le innumerevoli evoluzioni cui è stata oggetto, vede come uno dei capisaldi del sistema artistico l’opera d’arte come unicum, irripetibile, frutto del genio, dunque di per sé sacro, avvolto in un’aurea assoluta.
Ci si chiede allora cosa rimanga di questa concezione romantica quando l’opera d’arte è il frutto di atti meccanici, ripetitivi e seriali, tanto da diventare il senso intrinseco dell’opera e non solo la sua tecnica esecutiva. Questi atti meccanici, diversi fra loro e sottesi alle opere selezionate per la mostra, concretizzano una concezione antitetica rispetto all’idea romantica di autorialità, una contestazione non nuova già introdotta nell’arte dalle avanguardie storiche; si pensi ai futuristi ad esempio, per poi accentuarsi con le neoavanguardie dal secondo dopo guerra.
L’atto meccanico riesce a privare l’opera e l’artista della sua aulicità e si apre al pubblico, che è chiamato a prendere parte attivamente, compartecipa al significato dell’opera e alla sua comprensione. È la democratizzazione dell’arte e dei suoi codici, che non sono più esclusivi ma inclusivi, si diffondono, sono terreno fertile capaci di stimolare e di creare ulteriormente, bandendo ogni forma di specialismo. Le opere in mostra in Viasaterna fino al 21 giugno danno vita a una collettiva di atti meccanici, ciascuno con il proprio modo di declinare tale meccanicità secondo esigenze culturali tipiche del proprio tempo. Diversi medium, diverse tecniche e culture si affiancano in modo coerente con opere di artisti dagli anni Cinquanta fino ai giorni nostri. Alla regia di questa selezione è Giorgio Verzotti, curatore della mostra, recentemente impegnato anche a rendere omaggio all’artista giapponese Hidetoshi Nagasawa alla galleria Building di Milano, che riesce a far dialogare in modo credibile opere ed atti meccanici differenti.
La galleria, inaugurata nel 2015 da Irene Crocco, continua così la sua ricerca nel panorama artistico, attraverso un crocevia di vite, idee e interpretazioni, in stretto dialogo tra loro. Visitando la mostra si ritrova una selezione di opere di diversi artisti, tra cui Dadamaino, Irma Blank, Giovanni Rizzoli, Bertrand Lavier, Niele Toroni, Sergio Lombardo, Camilla Gurgone e Daniele Innamorato. Attraverso le opere si concretizza materialmente nello spazio la visione meccanica con una grammatica chiara, palpabile, in un linguaggio che è sottrattivo più che additivo. Si percepisce un’essenzialità di fondo, non nuova nel curatore, che mira alla ricerca di leggerezza, nell’atto, nello stile, nei materiali di questi artisti e di queste opere. Una leggerezza pensata, valutata, curata. Nelle opere l’atto meccanico, che è inteso come ripetizione ma anche casualità o accumulo, diventa principio generativo e generatore di forme, di colori, di codici, di linguaggi nelle opere. Sono principi che determinano, che ordinano, che generano, che si aprono alle diverse possibilità, al semplice ma anche al riproducibile. Si manifesta un credo anti-autoriale, meccanico, che racconta di una creatività che oggi si misura con il progresso, con la macchina, con diverse forme di “intelligenza”, un’artista in particolare ritornerà su questo tema nel suo lavoro.
Le opere presentano una pluralità di posizioni, raccontano di combinazioni, di sviluppi e di mutamenti, dello scorrere del tempo, che a volte è scandito e determinato, come nelle opere di Camilla Gurgone, altre invece cristallizzano un momento, un’azione compiuta sull’opera e nell’opera, come Daniele Innamorato o Giovanni Rizzoli. Che l’azione, la meccanica, sia intenzionale oppure lasciata al risultato del caso, dunque non controllato, non altera l’artisticità di lavori che mostrano un ventaglio di possibilità, modi diversi di fare e concepire arte. Diverse tecniche, tempi, modi di creare, risultati raggiunti dall’arte nell’ultimo secolo.
C’è chi, come Dadamaino, sottopone la tela ad una serie di interventi manuali, giocando con i materiali della sua epoca, chi come Niele Toroni riduce la creatività artistica ad un sistema ripetuto di impronte di pennello sempre uguali, chi invece, come Sergio Lombardo, interpreta l’atto creativo come reazione fisica e psicologica del pubblico, attraverso regole compositive e sistemi algoritmici. Altri, come Irma Blank, traducono il proprio intervento in gestualità meccanica e ripetuta, tracciando linee parallele in pittura blu che danno vita ad una forma di scrittura minimale e radicale. Bertrand Lavier sviluppa invece strategie di traduzione, trasposizione e conversione, mentre Daniele Innamorato lascia che sia la casualità del processo, con l’uso di colori e fogli di cellophane, a determinare l’opera. Anche Giovanni Rizzoli gioca con l’imprevedibilità dell’intervento, agendo sui tessuti attraverso l’iniezione di colore tramite flebo.
La nuova generazione è invece ben rappresentata da Camilla Gurgone che, lavorando tra installazione e performance, fa utilizzo dell’intelligenza artificiale, rendendo la macchina partner della sua azione artistica. L’artista, in Caddy’s, fa rivivere l’atto quotidiano in modo performativo, rendendo immortale nell’opera un gesto dimenticato, un’azione banale, come quella di fare la spesa, cristallizzando un momento in un gesto. La riproposizione artistica consente di attraversare in senso reale ma anche metaforico il gesto anonimo della spesa, donando ad essa un’aurea di eternità. È il tema della memoria, del tempo e del ricordo, ma anche della reminiscenza e poi l’importanza della traccia, della deperibilità o reperibilità delle cose ma soprattutto delle azioni.
Varcando la soglia della galleria, il visitatore è accolto dalla prima opera di Bertrand Lavier, in dialogo con quattro opere di Irma Blank e altre due di Giovanni Rizzoli. Il corridoio, che diventa un importante spazio di snodo, accoglie un’opera emblematica per il senso stesso della mostra: Volume di Dadamaino. Proseguendo, in uno spazio illuminato da luce naturale che avvolge le opere presenti all’interno, opere di Daniele Innamorato, Camilla Gurgone e Dadamaino. Il piano inferiore presenta un’ulteriore selezione di opere dei medesimi artisti presentati, ma anche di Sergio Lombardo e Niele Toroni.
Sono tutti atti meccanici ma anche modi di reagire alla costante richiesta, o meglio urgenza, di novità e di riconoscibilità che il mercato e il sistema dell’arte impongono sempre più agli artisti. Essi sembrano interrogarci in modo ironico e provocatorio: cosa posso ottenere riproponendo e combinando raggruppamenti di un dato numero di elementi, o uno stesso tipo di intervento, o elaborando un sistema o codice che interagisce però con la reazione e il caso? Molte opere si presentano come pattern ripetuti in un gioco districato ma esteticamente appagante, dove la ripetizione stessa dona esiti a volte geometrici (o simmetrici) a volte più astratti. La mostra è un trionfo di modelli e schemi, argutamente configurati, un’esplosione di forme e di caratteri. La gestualità ritorna continuamente e assume un significato diverso nel modo in cui è gestita da ogni artista, pur trattandosi di atti meccanici.
Le opere non significano in modo unico, monolitico, ma sembrano abbracciare più significati, o forse non significano in modo tradizionale e canonico, ma dietro pattern ripetuti c’è l’intenzionalità dell’artista, motivata. L’artista c’è, è presente, è palpabile. Rispetto all’importanza dell’atto, del gesto della mano, queste opere sembrano suggerire, in modo diverso eppure non così distante fra loro, quanto significato abbia oggi la potenza dell’idea. Questo nonostante il sistema spesso chieda, e a volte pretenda, dagli artisti di essere immediatamente riconoscibili, ben individuabili, di avere un segno immediato, per garantire una certa riconoscibilità alle opere, aspetto visto con preoccupazione. Al termine della visita antitesi diverse ritornano alla mente dietro la successione di opere e artisti esposti: macchina o umano? Arte o meccanica? Si è così certi che le due possibilità si escludano a vicenda, in modo dicotomico. Ad uno sguardo più attento le opere suggeriscono invece il contrario, un punto di incontro in equilibrio tra gesti e idee, in una pluralità di atti meccanici.
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