I termini «resistenza permanente», recentemente proposti da alcuni accademici, sono utili solo se essi non comportano la «depoliticizzazione del referente». È possibile, infatti, rivendicare l’esistenza di un’estetica della resistenza (permanente) anche separando l’evoluzione storica della resistenza dalla sua origine nazionale e internazionale, della vita e della storia (delle popolazioni democratiche), socialiste e, più precisamente, resistenziali, fuori e dentro l’ANPI, la resistenza esistenziale dovrebbe proporsi come un’ontologia della vita. Tautologicamente, potremmo dire che l’estetica resistenziale è soltanto un aspetto della totalità dell’ “estetica resistenziale”. Il progresso – che è un certo tipo di progresso, cioè quello ufficiale delle magnifiche sorti e del viaggio supersonico – ha oggi raggiunto quelle forme di demenziale gigantismo e di inutile complicazione strutturale, che sempre caratterizzano, nella storia naturale o delle società umane, la fine e l’inizio di una resistenza, la fine e l’inizio di un’età critica, la fine e l’inizio di una cultura della reazione che forse richiede una nuova cultura della rivoluzione. Una questione ovvia, dal momento che la pratica della resistenza rappresenta solo uno dei vettori espressivi di un’unica origine materiale, storica e psicologica. La cultura della resistenza in arte è il risultato di uno sviluppo psicologico comune, che a sua volta si fonda sull’esperienza di condizioni materiali condivise che, in ultima analisi, appaiono politicamente e artisticamente definite.
La politica culturale della resistenza permanente nasce come vivida esperienza e sviluppo storico della «resistenza alla resistenza» conformista; un popolo è la memoria democratica di una «situazionalità» e di una «territorialità», la cui Storia e Memoria dipendono tanto dalle Langhe quanto dal resto dell’Italia e dell’Europa. Insomma, l’argomento dei rapporti tra resistenza e cultura artistica, nelle sue singole componenti è sempre di grande attualità non solo in Italia, ma anche all’estero. Ed è forse proprio da una regione particolare, come il Piemonte, che si fanno sentire le voci più sincere e disinteressate, di autori che lì vissero. Essi, pur essendo ai margini, lontano dal cuore del dibattito politico, in quel memorabile frangente, tuttavia, hanno tenuto l’animo sempre attento agli avvenimenti (in questo caso artistico-letterari) che ivi si svolgevano. Questa volta a parlarcene è la mostra “Arte come resistenza. Dalla resistenza storica alle resistenze attuali”, a cura di Ilaria Borgo, esposizione eclettica, inaugurata il 5 settembre scorso presso la Civica Galleria d’Arte Contemporanea Filippo Scroppo di Torre Pellice, con il supporto dell’Accademia Albertina di Torino e del Progetto Resistenze (Andrea Balzola, Pino Mantovani, Angelo Mistrangelo, Luca Motto, Gabriella Peyrot).
L’esposizione presenta le opere di una quarantina di artisti che hanno partecipato alla resistenza al regime nazi-fascista. Si tratta di una rassegna di autori internazionali che ha per scopo principale, come ci dice lo stesso Andrea Balzola nel saggio in catalogo, di indicare alcune ragioni per cui una critica di tipo politico-ideologico dovrebbe godere di una più ampia utilizzazione e di un più autorevole riconoscimento nell’ambito della letteratura, della poesia e delle arti visive dedicate all’antifascismo o ad altri movimenti culturali e socio-politici. La curatela mette a fuoco gli scopi che la mostra e la pubblicazione si prefiggono, ovvero quelli di un’informazione precisa, minuziosa e obiettiva dei fatti e di accompagnarli con un giudizio.
Tale giudizio, però, a un certo punto, cessa di essere un moto di sentimento di adesione o di ripulsa, per divenire il doveroso intervento della ragione storica, che accompagna la sistemazione del materiale, non aritmeticamente posto in rassegna, ma organizzato in un discorso fluido e composito. Precisi sono i vari collaboratori del progetto nel riportare le testimonianze e le opere di Carmelina Piccolis, staffetta partigiana nelle formazioni di Giustizia e Libertà, ritratta da Carlo Mollino; Gino Balzola, partigiano della 45a Brigata Garibaldi di Torino; Renato Cottini, artista e partigiano della 6a divisione G. e L.; Filippo Scroppo, membro del CLN, immortalato con il ritratto in gesso di sua moglie Lucia (1942); Giuseppe Cavallera 104a Brigata; Francesco Tabusso, che illustra i fermenti pittorici del comizio (o corteo) a Torino il 25 aprile 1952 (olio su tela, coll. Casorati); Felice Vellan, con una pittura denominata partigiani di vedetta del 1944; Luigi Carluccio, con i disegni di prigionia del ‘44 e via di seguito.
Gli artisti coinvolti sembra che ci suggeriscano: «Oh! Il solido realismo degli artisti e il fanciullesco fantasticare e bamboleggiare dei meccanici, per oggi, chiede altra resistenza». Il panorama dei nomi, come si vede, senza remore o sottintesi suscita nei redattori della pubblicazione un carattere deciso, privo di tentennamenti, come si addice a una ricerca appassionata, la quale non ha difficoltà a concludere la sua missione storiografica con l’elogio agli artisti di ieri e di oggi: attivisti che dettero voce alle aspirazioni universali di libertà, giustizia, dignità e buona volontà, ispirate loro da una nuova Musa politica permanente. Una Musa situazionale in grado di descrivere, con l’arte in pugno, nascita, vita e metamorfosi del dire: «ora e sempre resistenza».
Nelle forme e nel contesto dell’etica della resistenza, in ogni sua componente storica o culturale, sono racchiusi la volontà, il desiderio, l’invocazione di libertà, di arte e vita. La tendenza reazionaria del progressismo liberale non riesce a venire a patti con «l’estetica resistenziale», perché essa, quando parla, esprime ambiguità: da genere a genere e da singolo pensiero laico a singolo pensiero civile. Il primo significante dell’estetica resistenziale, comunitaria, rivelatoria, mediale, espressionistica e incentrata sui contenuti, significa sempre libertà: nuova vita, rivelazione espressiva, evoluzione dell’arte verso la conoscenza politica, rivoluzione.
Nei lavori pittorici, nelle performance, nel costume sociale, nel teatro della vita quotidiana! Gli astrattisti – epigoni degli epigoni – sono i cavalier D’Arpino dei nostri giorni: e poco importa sapere se, sotto dittature trivialmente amiche, di degenerati ordini di ascendenza ottocentesca, essi siano stati, e siano ancora, civici Eroi del dissenso. Le sole benemerenze civiche dell’artista sono nell’arte e l’arte richiede capacità di proposte alternative alle contraddizioni dei propri tempi: è come dire che non può fondarsi l’accademia del progresso, per il guado delle contraddizioni. La storia dell’arte, così come la storia dell’impegno civile e sociale, è stata fatta dall’uomo politico e, in particolare, da coloro che, come Carlo Levi, Mauro Chessa, Giacomo Soffiantino, sembravano contrastare le tendenze in atto. L’attualità della resistenza insegna che il peggior modo di prevedere il futuro consiste nell’estrapolare il passato. Un tempo l’etica delle proprie responsabilità insegnava che il futuro si può, in parte, anche costruire: con un po’ di coraggio e con un minimo di fantasia resistenziale.
A proposito di una mostra sul paradigma della resistenza continua, Jacques Prévert disse: «Riguarda la libertà, andare oltre sarebbe complicato».
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La storia insegna che non esiste un percorso evolutivo ma ciclico. Il passato non può essere solo un gadget di quello che è stato : " Io sono una forza del Passato. Solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d'altare......" Pier Paolo Pasolini. Prendendo spunto dalla Resistenza, oggi è più che mai necessario resistere . Resistere a un nemico viscido e invisibile, forse maggiore per quanto terribile fu quello nazi-fascista. Resistere al sistema unico come quello odierno, quello che impone scelte politiche globali, che sta relegando l'arte a una semplice comparsa, come a una sua estensione politico-culturale.