Ho incontrato Enrico Magnani a Frame Ars Artes, la galleria napoletana di Paola Pozzi, dove, fino al 27 novembre 2022, c’è “Totem e Tao”, una sua mostra personale. Ho trovato di fronte una persona straordinaria, una delle più interessanti che io abbia conosciuto. D’aspetto sembra molto più giovane di quanto suppongo sia, considerando la sua copiosa attività. Ha la figura snella e agile di un ragazzo e gli occhi neri brillano di un’imperitura vitalità.
Con lo stile preciso dello scienziato mi racconta di sé, iniziando dalla sua laurea in ingegneria nucleare, che ha coronato il suo desiderio di investigare il mondo materiale e i suoi meccanismi. Si trovava a Milano, nel collegio universitario, dove studiava, quando si accorgeva che la scienza attuale è incanalata in un’unica direzione e ha un’unica via percorribile, poiché deve attingere informazioni sul mondo fisico, che provengono da tante diverse fonti; quindi è arrivata al punto in cui è materialmente impossibile la libera ricerca individuale, quella a cui Magnani tendeva. Cosicché vi rinuncia. Mentre è preso da un’altra passione, la pittura, arte che coltiva sin da bambino.
Diventa un pittore figurativo: dipinge corpi ibridi, mostri, strane figure ma non ne è soddisfatto. Nel frattempo, cercando il Vero, si è imbattuto nella sapienza orientale. Mi confida, tempo addietro, è molto giovane, è incappato in quello che chiama “un infortunio sentimentale”: una cocente delusione d’amore. È disperato. Ma qualcuno gli dona un libriccino. Si tratta di preghiere orientali, dei mantra da recitare. Così Magnani scopre l’Oriente.
Riprende i pennelli e le figure, dapprima mostruose, di un tragico espressionismo per intenderci, naturalmente si ammorbidiscono in più dolci cadenze. Poi, via via, passano a rappresentare corpi mistici e simboli. Infine anche i simboli vengono eliminati dalle sue rappresentazioni e vi resta la suggestione che essi hanno ispirato, quella che ora hanno anche le opere in mostra da FrameArsArtes.
Dimostrano una realizzazione accurata, impreziosita da uno stile raffinato e dai colori del blu, dell’oro, del fucsia, del nero, i preferiti dall’ingegner Magnani. Che mi parla di colori e, citando il particolare blu di Yves Klein, di come essi siano propri di questo o quell’artista, di come abbiano ed esprimano una particolare personalità. E poi mi ricorda la virtù taumaturgica dell’arte figurativa, citando Arthur Schopenhauer, il filosofo che si procurava una tregua alla sua tormentosa ansia continua, usando la contemplazione dell’opera d’arte.
Qui è importante ricordare il titolo della mostra alla galleria FrameArsArtes: “Totem e Tao”. Per chiarire approssimativamente che i Totem, in questo caso, sono degli oggetti che hanno un significato soprannaturale e il Tao è l’ordine metafisico della Natura. Ammiriamo le opere esposte alla Frame sulle pareti tutt’intorno. Sono dei totem, fatti di catrame, argilla, pietra, foglia d’oro e sono posti su carta, tela o velluto. Generalmente sono di proporzioni contenute e rappresentano, ciascuno, un singolo oggetto, per cui chiaramente non possono rappresentare un movimento rispetto a un altro elemento raffigurato.
Eppure non esprimono staticità, è come se avessero in sé un’intima forza motrice, un intimo movimento. Magnani chiarisce: «Ho cercato di materializzare un gesto». Che, nei titoli delle sue opere, indica quale uno scivolamento, oppure uno straripamento, un compimento, un ritorno. Spesso è rappresentata nel quadro una sorta di moneta: è l’oggetto magico utilizzato per chiedere un responso all’oracolo. Appunto a ogni opera è associato un responso dell’I-Ching, l’antico oracolo cinese, parte integrante della tradizione del Tao.
Enrico Magnani, che erroneamente avevo creduto un novellino, invece è uno scienziato, un divulgatore scientifico e un artista che gode di notorietà e stima internazionale, ottenute con le sue conferenze, con i suoi libri, le mostre personali fatte in Italia (Cagliari, Bologna, L’Aquila, Roma, Reggio Emilia, Milano, Torino e ora a Napoli) e all’estero (Svizzera, USA, Repubblica Ceca, Germania, Belgio). E anche con le innumerevoli collettive realizzate in tutto il mondo. Ci sarebbe tanto altro da dire ma mi limito a citare una sua recente mostra. È “Light in the dark”, la mostra interattiva che parlava delle meraviglie della Fisica, nell’auditorium Enzo Biagi, a Bologna, nel luglio di quest’anno, e che, tra il reale e il digitale, veicolava, con fluorescenze, fosforescenze e luci ultraviolette, i complessi concetti del nostro universo attraverso l’estetica dell’arte.
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