Ancora una volta viene confermata la forza coinvolgente e la magia dell’Orto Botanico di Palermo, uno dei luoghi più affascinanti e poetici della Sicilia, in grado di separare dal ritmo incalzante della città, dai suoi tempi ristretti e segmentati, istituendo un tempo avvolgente e dilatato, quasi immobile, fra il fruscio delle piante e del suono dei passi sulle foglie.
In questo scenario meditativo di assoluta bellezza naturale, si è svolta la residenza artistica di Tiziana Cera Rosco durata esattamente un anno e che ha portato alla produzione di quattro cicli di opere, ognuno legato ad una stagione. Immersa fra i contrasti del colore, fra i profumi vitali di questo luogo, l’artista abruzzese ha trasformato in abitazione una piccola casetta nel mezzo dell’immenso giardino, mescolando tra loro arte e quotidianità per scavare nella purezza dell’abitare, fatta di rituali, introspezione e contatto intimo fra sé e la natura.
A concludere la residenza dell’artista è la mostra antologica curata da MariaChiara di Trapani dal nome “Anthurium – Parla, mio fiore” che si svolge tra l’Orto Botanico e la Chiesa SS. Euno e Giuliano, ma dove è possibile, in realtà, percepire la continuazione della permanenza dell’artista. Un lavoro complesso per la quantità di opere fra installazioni, fotografie, video e diari d’artista in cui poeticamente emerge il valore simbolico dell’anthurium, la pianta dell’amore associata alle frecce di Cupido e qui metafora d’amore non limitata esclusivamente verso il luogo, ma per se stessa.
Tiziana Cera Rosco mostra una connessione sensuale con l’Orto, in un rapporto di rispetto e intimità pari a quello con il corpo femminile, che per l’artista diventa un ponte per connettersi alla vita, per valorizzarla anche dopo quella che sembra apparire come la morte, ma che continua sotto forma di altro. In questo modo le foglie secche, i fiori essiccati, alghe e melograni attaccati dalle muffe, aprono uno sguardo verso l’altro lato della vita, quello della conservazione e dalla trasformazione, alla rivalutazione della loro esistenza che non si è realmente interrotta.
È possibile sentire l’artista passeggiare insieme a noi fra questi enormi erbari, vestita con lo stesso abito nero che l’ha accompagnata fra i vicoli alberati dell’Orto o sentire il suono delle sue lenzuola strizzate sulla roccia, dipinte con il colore delle alghe o con il materiale organico rintracciato sul posto, facendo attenzione verso l’ambiente e l’ecosostenibilità della propria arte. Le lenzuola e le garze impresse con l’acqua dello stagno, tramite le alghe raccolte o col succo dei melograni, diventano sudari sui quali le trame e le sfumature raccontano il tocco e la connessione dell’artista ai materiali usati e al luogo stesso, richiamando simbolicamente a una vita lenta distante dall’oggi, quella in cui il bucato veniva lavato sui bordi del fiume, fra le rocce e la natura, ma anche a dimensioni più carnali, della scoperta e della relazione con il proprio corpo, in un evidente approccio poetico da parte dell’artista.
La mostra di Tiziana Cera Rosco dichiara la qualità della propria ricerca artistica, scientifica e umana, dimostrando come l’arte sia quella virtuosa chiave di accesso a tematiche importanti e che grazie alla collaborazione di istituzioni come l’Università degli Studi di Palermo possono essere valorizzate e condivise.
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