A Palazzo Martinengo di Brescia, una grande mostra riaccende la luce sui Macchiaioli, in una sequenza di numerose opere collocate nella complessa sede dell’antico edificio, proprio secondo le sue articolate stanze, che diventano “tematiche” illustrando i temi, le situazioni, i luoghi, le vicende che segnano l’evoluzione del movimento. Fattori, Lega, Signorini, noti ai più, si trovano qui con Cabianca, Borrani, Abbati, Ferroni, Gioli e molti altri pittori, in un approfondimento che l’impostazione scientifica dei curatori, Francesca Dini e Davide Dotti, mira ad illuminare nel complesso.
La mostra si concentra sul dato di innovazione che questa corrente pittorica introdusse, con le ricerche sulla luce che, assieme alle ombre, diventa strumento e anche coprotagonista delle scene dipinte: si passò così in questo periodo dall’Accademia, dominata da una descrizione storica in chiave realistica ma anacronistica, alla realtà quotidiana – di persone e paesaggi – con l’evocazione di un’emozione, manifestando anche il radicamento e l’impegno civico e politico nella storia della costruzione dell’unità d’Italia. Grazie ad accostamenti e dialoghi allusivi tra dipinti, si individuano le tracce di un percorso che si dimostra ben più influente sullo sviluppo della pittura italiana ed europea verso la transizione al XX secolo, ben oltre la stretta cerchia categorica dei “Macchiaioli”.
La mostra si svolge a partire dalla prima sala, dove si trovano quadri dei pittori delle accademie da cui si separarono i Macchiaioli: qui si fa notare un accostamento tra il Corteggiamento di Ussi – di ambientazione storica e perfetta di paludata grafia – con i Novellieri fiorentini del secolo XIV in cui Cabianca, partendo da un tema storico, prende le mosse con l’accenno alla “macchia” nel definire paesaggio e personaggi.
Seguono sale dove predominano i paesaggi, liguri e toscani, inebriati di luce, con dimensioni che vanno dal bozzetto minimale, quasi intimistico di un personaggio che si avvia sulla spiaggia – Signorini, Marina a Viareggio – alle ampie “proiezioni” della campagna toscana dove il chiarore del sole diventa accecante ed evoca il palpito dell’estate e della fatica dei contadini: sono una sorta di “fermo immagine” – Borrani, Sernesi – dominato dalla sensazione di attesa, che ad esempio Signorini e Cabianca sanno interrompere con il passaggio o la sosta di figure che quasi preconizzano il ‘900 italiano; mentre composizioni di grandi macchie di ombra e luce dominano i paesaggi tra le case, ad esempio con Cabianca, Avanzi della chiesa di San Pietro a Portovenere, fino al suo poetico Il mattutino, con simbolici allusivi rimandi.
La vastità delle vedute, la lentezza indotta dalla suggestione, sembrano anticipare lunghi (cinematografici) “piani sequenza” di osservazione, sia nei grandi paesaggi, come nelle piccole “cassette” (5,5 x 27 cm circa Borrani, Abbati, quasi “cartoline da grand tour”).
Ma il chiarore pervasivo e la lentezza vengono spesso contaminati con ironia e affetto da figure: dalle suore di Cabianca ai ritratti degli amici nelle pinete, o ancor di più nello strepitoso, piccolo, Silvestro Lega che dipinge sugli scogli di Fattori, dove il centro della composizione è la macchia bianca dell’ombrello – quasi inizio di una geometria astratta – sotto il quale l’amico pittore lavora “azzimato” sulla spiaggia.
Mentre piccoli quadri di Boldini segnano gli inizi “popolari” prima di dedicarsi al fasto per cui è noto. Seguono sale dove assieme all’immagine simbolo della mostra – Borrani, Cucitrici di camice rosse – con accostamenti allusivi, troviamo scene di interni con donne colte in attimi fuggenti, che testimoniano la propria partecipazione alla vita politica del Risorgimento; questo, dopo che l’accostamento di una scena di battaglia di Fattori ad un muro cannoneggiato di cimitero di Signorini hanno suonato come un memento mori.
Troviamo poi paesaggi della campagna di Piagentina, in cui il contrasto luce-ombra diventa il gioco di riflessi di acque a contrasto di terre; quindi al piano superiore, dopo la ricostruzione di spazi dipinti di una residenza, si apre l’ariosa e più enigmatica stanza della seconda fase dei seguaci dei primi Macchiaioli, verso il Naturalismo. Si tratta ad esempio di Gioli, Ferroni, Tommasi, dove, assieme al tema della narrazione della vita borghese, le figure diventano allo stesso tempo più sfumate e simboliche (Gioli, Acquaiola): quasi i prodromi della rilettura novecentesca del classico.
Nel contempo si mantengono visioni allegre, come La scaccia alle anitre di Tommasi, che fanno da prosecuzione ai molti ritratti ironici, quasi caricature, incontrati nelle precedenti sale, quando per dare l’espressione ad un personaggio l’autore si affida ad una composizione, ormai quasi astratta, di macchie contrastanti (ad esempio Signora in conversazione di D’Ancona). In un’interessante sala troviamo opere grafiche di Fattori, che molto raccontano del disegno ancora alla base dello sviluppo della macchia. Si chiude con la sala dei vecchi fanciulli verso il Novecento, dove colpisce in particolare Signorini con Il ghetto di Firenze, malinconico e ironico, uno squarcio di luce nella via che pare dividere i personaggi per classe sociale. Una mostra molto riuscita.
Tra gli ultimi progetti firmati da Zaha Hadid, l’Hotel Romeo Collection di Roma apre le porte: arte, architettura, design e…
Un progetto di residenze artistiche alle Eolie che intreccia arte contemporanea, comunità e patrimonio archeologico: al via a dicembre, con…
In occasione della sua mostra al Museo Civico Medievale di Bologna, Alessandro Roma parla con Lorenzo Balbi delle idee di…
Alla scoperta della 13ma edizione di Momentum, la biennale d’arte contemporanea dei Paesi Nordici che si svolgerà in tre suggestivi…
È il nostro ultimo giorno su questo mondo, cosa c’è da perdere? Chiude i battenti, a Milano, la galleria Peres…
Il 2025 della Pinault Collection sarà dedicato alla rappresentazione del corpo umano, con le mostre di Tatiana Trouvé e Thomas…